Gli economisti anti-euro contro il referendum proposto da Grillo

Gli economisti anti-euro chiedono al Movimento 5 Stelle di non tergiversare con referendum: una posizione più che condivisibile, anche perché nella situazione attuale, con la maggioranza dei cittadini che, condizionati e manipolati dai mass media non hanno ben presenti le VERE cause della crisi, e con la martellante propaganda di PD-PDL-centro montiano, il referendum sarebbe un FLOP e legittimerebbe definitivamente l'euro. 
Non si può fare un referendum per decidere "se lasciarci uccidere o no", sopratutto se la maggioranza degli elettori, a causa della manipolazione mediatica, confondono il serial killer (l'euro) per un salvatore della patria...
Staff nocensura.com
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Referendum sull’euro, opportunità o trappola a Cinque Stelle? Le lezioni di Rinaldi e Borghi
Economisti ostili all’austerità finanziaria propongono al Movimento animato da Grillo la fuoriuscita dalla moneta unica per fermare il declino italiano, senza traccheggiare con referendum...
Conversando con “Le Journal du Dimanche” il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi aveva bocciato “la tesi populista per cui abbandonando la valuta comune un’economia nazionale beneficerebbe all’istante di una svalutazione competitiva”. Ieri pomeriggio il Movimento Cinque Stelle è tornato all’offensiva con un convegno promosso a Montecitorio intitolato “Europa e Euro: Opportunità o schiavitù?”, dedicato alle problematiche connesse all’unione monetaria e al recupero della sovranità finanziaria nazionale.

Tema al centro del programma elettorale della formazione guidata da Beppe Grillo e rilanciato dal comico ligure nel V-Day di Genova, nella forma del referendum sulla permanenza nell’Eurozona e del “piano di emergenza” su un euro a due velocità. Strategia ritenuta ondivaga da aderenti e simpatizzanti timorosi che la battaglia contro la valuta unica possa venire “scippata” da Lega Nord, Officina per l’Italia con Gianni Alemanno e Forza Italia. Ecco che cosa hanno detto gli economisti che hanno risposto all’invito del Movimento 5 Stelle.
IL PROF. RINALDI BOCCIA IL REFERENDUM
“Europeista che rifiuta di identificarsi nell’attuale Unione Europea e nell’area della valuta unica”,Antonio Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara, vuole smantellare ciò che ai suoi occhi appare come una gigantesca mistificazione: “Perché in oltre vent’anni di mercato comune non sono state uniformate neanche le aliquote IVA, requisito essenziale per la libera circolazione di beni e servizi. Mentre è stato creato un subdolo sistema di governo per estraniare le democrazie dei paesi membri dai processi decisionali”. A chi propone “più Europa” per risolvere la grave crisi in atto nel versante meridionale del Vecchio Continente, lo studioso replica che la revisione dei trattati e dei regolamenti non è realistica né produrrà benefici. Ricorda che i governi italiani non riescono neanche a sforare dello 0,1 per cento il rapporto deficit-PIL, “mentre la Francia viaggia attualmente oltre il 4 e la Spagna verso il 7”.

E ai rappresentanti Cinque Stelle chiede di appoggiare senza se e senza ma il ritorno alla sovranità monetaria, “per riguadagnare dignità a una nazione svenduta in nome di un liberismo finanziario sordo alle esigenze dell’economia reale”. Contro una visione della crescita economica fondata sui principi della stabilità dei prezzi a ogni costo, del pareggio di bilancio e della riduzione del debito pubblico al di sotto del 60 per cento del Prodotto interno lordo, l’economista non ritiene sufficiente allargare le prerogative della BCE a un Tesoro europeo prestatore di ultima istanza in grado di monetizzare i fabbisogni finanziari di uno Stato. È su questo punto che emergono i dissensi con il leader Cinque Stelle.
Rinaldi (qui la sua relazione integrale) liquida come nocivo e controproducente un referendum sull’euro. Prima di tutto per gli impedimenti costituzionali alla luce dell’articolo 75 della Costituzione. Poi per “la speculazione internazionale che investirebbe il nostro paese al preannuncio della consultazione popolare”. E infine per “l’opportunità offerta ai supporter dei parametri di Maastricht di porre in atto misure ancor più restrittive per contrastare le turbolenze finanziarie”. A giudizio dell’economista, il vero referendum sull’euro sarà rappresentato dal voto per il Parlamento di Strasburgo: “È lì che dovrà essere rilanciato il Manifesto di solidarietà europea”.
ABBANDONARE L’EURO, RESTARE IN EUROPA
Le parole pronunciate da Rinaldi, cui la platea del M5S riserva un’accoglienza molto positiva, riecheggiano nel ragionamento di Luciano Barra Caracciolo, componente del Consiglio di Stato. Ricordando come “vent’anni di austerità finanziaria hanno esautorato la nozione redistributiva della democrazia italiana fondata sul lavoro” e rivendicando come l’articolo 11 della Carta repubblicana preveda deleghe parziali ma non cessioni integrali di sovranità verso organizzazioni sovranazionali”, il giurista reputa legittimo superare i trattati di adesione monetaria senza mettere a rischio l’Unione Europea. Perché l’euro non è elemento costitutivo dell’architettura Ue. Abbandonarlo è possibile visto che esiste facoltà di revoca del consenso dall’area della moneta unica. Tale scelta permetterebbe all’Italia di “liberarsi dalla gabbia dei vincoli finanziari e negoziare con piena sovranità e legalità costituzionale la nostra permanenza nell’Ue”.
LE RESPONSABILITA’ STORICHE DELLA MONETA UNICA
Fautore di politiche economiche espansive è l’economista Antonino Galloni, allievo di Federico Caffè e membro del Collegio dei sindaci dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (Inps): “Nelle fasi di recessione le strategie di austerity producono la contrazione dei consumi, delle attività produttive, del lavoro, con ricadute negative sul gettito fiscale e contributivo, generalmente compensato con un aumento della pressione tributaria, e sul bilancio pubblico”. Per attuarle, rileva lo studioso, è necessario abbandonare l’euro, “scaturito da un patto tra Francia e Germania incamminata in un percorso di unificazione e minacciata dalla crescita e dal dinamismo dell’economia italiana”.
Anziché puntare sulla “competitività” di grandi gruppi come unica leva per lo sviluppo insieme alla compressione delle retribuzioni dei lavoratori, “strada che ci ha portato alla spirale recessiva e a soffocare il tessuto capillare di 4 milioni di piccole e medie imprese che hanno una vocazione storica a diversificare”, la ricetta indicata da Galloni prevede “investimenti pubblici per stimolare la domanda interna e i consumi nazionali, requisito per convogliare l’investimento del ceto medio su comparti produttivi e servizi pubblici”.
PERCHE’ USCIRE DALL’EURO, PARLA BORGHI
A individuare nell’abbandono della valuta comune l’unica direzione di marcia percorribile èClaudio Borghi, docente di Mercati finanziari all’Università Cattolica di Milano. A suo giudizio non è il debito pubblico, “che deve essere garantito in ultima istanza da una Banca centrale e non da fondi salva-Stati”, la causa della crisi produttiva e dei consumi: “Pensiamo a Spagna e Irlanda, tra le nazioni con minore passivo di bilancio alla vigilia della tempesta finanziaria da cui sono state colpite. E guardiamo al Regno Unito dominato da un’economia finanziaria che è stata supportata con risorse pubbliche scaricando i costi sulla sterlina svalutata”.
La soluzione della crisi, precisa il docente ed editorialista, non passa per l’abrogazione dei costi della Casta né per l’eliminazione della spesa improduttiva, “poiché ridurne oggi l’entità aumenterebbe la recessione”. Non passa neanche attraverso la riduzione della diseguaglianza tramite la leva fiscale “in una realtà di progressivo impoverimento”. Abbandonata l’ipotesi di grossi trasferimenti finanziari dalla Germania verso il nostro Paese, resta il problema dell’euro: “Cambio artificioso su economie con differenti velocità che impedisce all’economia italiana il ricorso alla leva monetaria per non perdere competitività e non andare fuori mercato. Perché comprare i prodotti al di fuori fuori dei nostri confini vuol dire ridurre la produzione, i consumi e l’occupazione interni”.
COME USCIRE DALLA MONETA UNICA
Attento alle modalità e agli effetti di un abbandono della moneta unica è Emiliano Brancaccio, professore di Economia politica e del lavoro all’Università del Sannio. Rifiutando la proposta Draghi di un intervento della BCE a favore dei paesi soggetti ad aggressione speculativa in cambio del rigoroso risanamento dei conti pubblici, lo studioso ritiene che la miscela di taglio della spesa pubblica e aumento delle tasse rende più difficile sostenere e ridurre il passivo di bilancio, soffoca l’economia reale e porta l’intera area euro a deflagrare: “A tutto vantaggio della Germania”.
A suo giudizio la terapia non consiste nell’unione bancaria, “che implica ristrutturazioni e liquidazioni degli istituti creditizi a condizioni fissate dai potenziali acquirenti esteri e promuoverebbe una ‘germanizzazione’ del capitale finanziario europeo”. La giusta ricetta non passa neanche per riforme strutturali “che prevedano liberalizzazioni al ribasso delle retribuzioni e del mercato del lavoro, fonte di tensioni sociali, crollo del potere d’acquisto degli stipendi e dei prezzi”.
Per l’economista keynesiano il punto cruciale è un altro. La fuoriuscita dalla moneta unica, osserva, non può essere decisa sulla base della libera fluttuazione della valuta nel mercato dei cambi e della libera circolazione dei capitali: “Per i paesi meridionali si tratterebbe di un’operazione gattopardesca e si tradurrebbe nella svendita delle realtà produttiva ad opera di gruppi finanziari stranieri”. L’opzione alternativa, quindi, deve essere statuale e protezionista, in grado di mettere in discussione il mercato unico europeo ponendo vincoli stringenti alle acquisizioni estere di ricchezza nazionale.




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