I padroni del mondo.
Non
c’è ministro, né presidente del Consiglio, né presidente della
Repubblica o monarca ad avere il potere, l’insindacabilità e la durata
della carica che hanno a disposizione un presidente e un dirigente della
banca centrale europea. La B.C.E. da’ “indicazioni”
vincolanti ai governi, stabilisce i tassi e la politica monetaria. E
nessun potere politico può interferire. E il popolo? Il popolo è sempre
più estraniato, sempre più sottomesso. Dov’è dunque la democrazia? Qui
siamo in una super dittatura occulta. Analoga la storia delle altre
banche centrali negli altri paesi d’Europa e del mondo. La più autonoma,
la più indipendente, e la più spudoratamente privata è indubbiamente la
“Federal Reserve” americana. La sua proprietà è
inoltre tenuta scrupolosamente segreta, come segrete sono le riunioni
della sua dirigenza. Palese è invece il suo potere, beffardo ed
efficace, negli USA e nel mondo. Scrisse Gertrude Coogan: “La
legge sulla Federal Reserve fu un grave errore. Essa consegnò ai
banchieri internazionali il controllo assoluto sul sistema bancario
americano e, di conseguenza, su ogni attività economica”.
Persino nei regimi comunisti, in palese contraddizione con i dettami
ideologici marxisti, le banche di emissione finirono in mano ai
banchieri internazionali. Nel 1937 la Gosbank, l’istituto di emissione sovietico, fu privatizzato, e nel consiglio di amministrazione fu accolto il plurimiliardario ebreo americano Armand Hammer.
Ci fu una sola nazione, nel XX secolo, che osò nazionalizzare la
propria banca di emissione, riconoscendo allo Stato, e quindi al popolo,
la proprietà della moneta: la Germania nazionalsocialista. Riflettendo
sull’accanimento criminalizzante riservato a Hitler ed ai suoi seguaci, e
sulla nazionalizzazione della Reichsbank, forse si potrebbero formulare
spiegazioni inconsuete e illuminanti sull’intera storia del secolo
appena trascorso.
Ma, per capire questo diabolico
“sistema” è necessario andare con ordine e quindi è indispensabile
cominciare definendo il ruolo strategico delle Banche Centrali.
Le Banche Centrali, quelle cioè che stampano la cartamoneta dei vari paesi del mondo, sono “private”,
ed i proprietari sono in maggioranza le altre banche e i grandi
finanzieri internazionali. Ma allora, se il mondo della politica, se i
governi, i capi di Stato, i ministri del tesoro e dell’economia non
hanno più voce in capitolo sui tassi di sconto, sulle strategie
monetarie, sulle condizioni dei prestiti, sui finanziamenti
internazionali, sui cambi, sulle borse, chi coordina tutto questo
complesso “mondo di numeri”, di previsioni economiche,
di interventi piccoli e grandi destinati a influire in maniera
determinante sulla vita di tutti i popoli? Chi prende le decisioni? Chi
comanda? C’è chi afferma che sarebbe il sistema stesso, nel suo
complesso groviglio di interessi e di meccanismi automatici, ad
autogovernarsi, a funzionare come una enorme macchina avviata così bene
da non aver più bisogno di progettisti e di macchinisti. Non ci sarebbe
nessuno dunque a comandare. Tutto avverrebbe così, naturalmente,
ineluttabilmente, come in un Eden illuminato dallo splendore del dio
denaro. Ma si tratta di un’analisi che sa di malafede. Se le cose
andassero così come vanno in modo automatico, se non ci fosse nessuno a
decidere e comandare, non avrebbe senso cercare i responsabili. A
nessuno potrebbe essere imputata la colpa delle crisi economiche, dei
crolli monetari, della sistematica distruzione dell’ambiente, dello
sfruttamento forsennato delle risorse o del lavoro, e della fame nel
mondo. Certo si tratta di una spiegazione eccessivamente comoda, e
assai difficile da accettare. È allora necessario informarsi, ed
osservare più da vicino il mondo delle banche centrali, cercando di
individuare il momento e la sede dove esse si incontrano per decidere.
Infatti costoro decidono veramente per tutti. E gli effetti di tali
decisioni sono davanti agli occhi di tutti. E allora, informandosi, si
viene a sapere che a Basilea, in Banhofplatz 2, ha sede la banca dei regolamenti internazionali BRI, o BIS, “Bank for International Settlements”,
fondata nel 1930, dove si riuniscono, ogni mese, i dirigenti di tutte
le banche centrali del mondo. Proprietarie della BRI sono infatti tutte
le banche centrali del mondo, ma in proporzioni assai differenti tra di
loro. Il 25 % delle azioni sono della Federal Reserve USA, il 15 % della Banca d’Inghilterra
e il rimanente 60 % è distribuito, con quote minime, tra tutti gli
altri. Un 60% talmente frammentato da rendere impossibile una qualsiasi
aggregazione percentualmente significativa.
La federal reserve, col suo 25 % di
proprietà e con la costante, servile disponibilità della banca
d’Inghilterra, ha gioco facile nel determinare il bello e il cattivo
tempo. Nell’ambito della la banca dei regolamenti internazionali BRI, le
banche centrali dei paesi più industrializzati del mondo, Stati Uniti,
Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Olanda,
Belgio, Svezia e Svizzera, hanno istituito appositi comitati di
vigilanza internazionale: il CBVB, “Comitato di Basilea sulla Vigilanza bancaria”; il CSPR, “Comitato sui Sistemi di Pagamento e Regolamento”; e il CSFG,
“Comitato sul Sistema Finanziario Globale”. Le nomine dei governatori
delle banche centrali delle varie nazioni del mondo, prima di giungere
alla ratifica dei rispettivi governi, dove ciò è ancora previsto, devono
essere approvate dalla BRI; se a Basilea non sono d’accordo, tutto
viene rimesso in gioco, si vagliano altre candidature, più gradite ai
signori della Banhofplatz, fino ad individuare l’uomo adatto a gestire, a
livello nazionale, le decisioni che vengono assunte lassù, nell’Olimpo
dei potentissimi Morgan, Rockefeller, Warburg, Rothschild…
Certo, perché, nonostante i proprietari
della federal reserve siano tenuti segreti, e segrete le loro riunioni,
si sa per certo che tra di loro ci sono anche questi uomini, e che le
loro quote pesano molto. Nomi che compaiono da secoli nella storia del
denaro e, soprattutto, nella scalata che il potere finanziario
internazionale ha fatto ai danni del potere politico. Quindi questo
fantomatico potere che comanda il mondo del denaro, cioè il mondo
dell’economia, cioè il mondo “tout court”, esiste davvero. In quelle
riunioni mensili vengono affrontate tutte le questioni di ogni paese,
vengono decisi i tassi di sconto, i beneficiari dei prestiti della BM (banca mondiale) e del FMI
(fondo monetario internazionale), quali governi devono essere aiutati,
facilitati, finanziati, quali monete devono decollare e quali
svalutarsi, quali movimenti rivoluzionari devono essere armati e quali
riforme devono essere sponsorizzate. Sì, perché chi ha il potere di
decidere la politica monetaria può influire, in maniera determinante, su
ogni cosa. Certamente, nei sontuosi saloni della BRI, si è molto
discusso, e deciso, prima che venissero firmati gli accordi di Bretton Woods nel 1944,
con i quali fu stabilito, tra l’altro, che il dollaro dovesse essere
assunto come moneta per gli scambi internazionali. Certamente, negli
uffici della Banhofplatz 2, si è molto discusso, e deciso, prima che il
presidente USA Richard Nixon, nell’agosto del 1971,
annunciasse al mondo la fine della convertibilità del dollaro in oro
(sino ad allora per 35 dollari doveva esistere la garanzia di un’oncia
d’oro). Certamente a Basilea si è molto discusso, e deciso, prima che la
pubblica opinione del mondo venisse a conoscenza della “perestrojka”, del trattato di Maastricht, dell’euro, della guerra all’Iraq, della guerra nei Balcani, della guerra all’Afghanistan. E, probabilmente, si è parlato anche di “attentati, di grattacieli, dell’11 settembre”
e di tante altre cose. Ora, nessuno, assolutamente nessuno di questi
signori che si riuniscono, discutono e decidono il nostro destino al
numero 2 di Banhofplatz di Basilea, è mai stato candidato in nessuna
lista di nessun partito, è mai stato eletto da elettori di questo o di
quel popolo del mondo. È dunque questa la democrazia?
Mark Alonzo Hanna, consulente del presidente USA William McKinley e mitica figura di organizzatore di campagne elettorali, citato anche da Bush jr., ebbe ad affermare nel 1896: “Per vincere occorrono due cose. La prima è avere molti soldi… la seconda non me la ricordo”.
Ed è per questo che la scalata dei signori del denaro non è iniziata
all’interno dell’area politica o delle istituzioni rappresentative delle
singole nazioni. Si è sviluppata dove i soldi si fabbricano,
all’interno delle banche centrali, affiancandone l’attività con una
miriade di istituzioni internazionali, enti, fondazioni, banche di
credito e d’affari tutte rigidamente dirette o controllate tra loro. Una
ragnatela così ampia e articolata da consentire il progressivo
condizionamento planetario di tutte le attività: la “Trilateral Commission”, il “Council on Foreign Relations”, il “Bilderberg Group”, il “Club di Roma” il “Club de Paris”, il “FMI”, la “BM”, l’“OMC” (organizzazione mondiale del commercio), la “CCI” (camera di commercio internazionale), l’“Institute of International Finance”, il “Forum di Davos”; e, ancora, il “Comitato di Bali”, per la supervisione bancaria; l’“IOSCO” (International Organisation of Securities Commissions) per la supervisione delle borse e dei mercati di capitali; l“ISMA” (International Securities Market Association); l’“IAIS” (International Association of Insurance Supervisors) per la vigilanza sulle compagnie di assicurazione; e l’“ISO”
(International Standard Organisation) alla quale è demandato l’incarico
di definire gli standard industriali, tanto per citarne i più noti e
importanti.
Al condizionamento politico ed economico
delle singole nazioni, attraverso il controllo monetario, si aggiunge
il potere di influire sui rapporti internazionali. Poco importa se
intere nazioni, nel gioco delle speculazioni, sono travolte e ridotte
alla fame – vedi i paesi dell’America Latina – o altre vengono a
trovarsi in posizione di immeritato vantaggio. Un esempio tra i tanti
che si potrebbero fare: il 30 % dell’intero ammontare dei prestiti
concessi dal FMI è attualmente assorbito dalla Turchia, favorita dalla
sua posizione geo strategica nel “vicino Oriente”, che
va salvata per non far perdere un forte alleato a Stati Uniti e ad
Israele. Inoltre, attraverso il flusso dei finanziamenti, si attivano
tutte quelle iniziative che si ritengono funzionali a questo disegno
criminale mondiale, condizionando pesantemente, spesso sino a
stravolgerle, anche quelle iniziative che, a prima vista, potrebbero
apparire di segno opposto. Esempio particolarmente eloquente ne è il
movimento dei “No Global”., contrariamente a quanto la pubblica opinione è indotta a credere, “l’International Global Forum” è largamente finanziato dalla Foundation for the Deep Ecology, un think-tank con sede a San Francisco, erede delle fortune del magnate Douglas Tompkins, il padrone della Esprit Clothing Company, la nota multinazionale di prêt-à-porter. Detta “Fondazione per l’Ecologia Profonda” nel
2000 ha dichiarato attivi per 150 milioni di dollari: grazie a questi
fondi essa funziona come una finanziaria, che fornisce capitali iniziali
per il lancio di gruppi anti global in tutto il pianeta. Ed ancora: tra
i “finanziatori dei ‘No Global’ spicca un nome: Theodor (Teddy) Goldsmith.
Teddy è il fratello minore del defunto sir James Goldsmith, speculatore mondiale in materie prime, uno dei dodici uomini più ricchi del mondo, cugino dei “Rothschild”. Da una interessante indagine di Maurizio Blondet si può arrivare a mettere in luce anche le relazioni che legano il mondo dei “No Global” ad un altro celebre miliardario, George Soros: “Ebreo ungherese naturalizzato americano,
Soros è diventato enormemente ricco e famoso con speculazioni
internazionali sulla lira negli anni 90, il genere di operazioni
possibili nel “mercato globale”. Dunque, ovunque si cerchi, escono fuori
soldi, enormi quantità di soldi, creati dal nulla, attraverso i quali i
soliti potenti signori indirizzano, condizionano, determinano,
controllano. Per ciò che riguarda l’Europa, taluni sono indotti a
credere che l’euro sia il punto di arrivo spontaneamente perseguito
dalle nazioni del vecchio continente, nel quadro della loro volontà di
unificazione. Il professor Joshua Paul, docente della Georgetown University, ha pubblicato nell’autunno del 2000 una serie di documenti del Bilderberg Group,
sino ad allora tenuti segreti, che documentano come da cinquant’anni
quegli ambienti stessero lavorando perché l’Europa si dotasse di
un’unica valuta. Già nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller avevano dato vita all’American Committee for a United Europe,
con lo scopo di condizionare lo sviluppo monetario, economico e
politico del nostro Continente in modo convergente agli interessi degli
Anglo/Americani.
Un memorandum della sezione “Europa” del Dipartimento di Stato americano, in data 11 giugno 1965, riporta precisi suggerimenti al vicepresidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, per giungere al varo di un’unica valuta europea, non come concorrente del dollaro, ma come “agevole mezzo di controllo” delle
economie delle singole nazioni europee. È infatti molto più semplice
controllare un’unica entità monetaria e un’unica banca centrale
indipendente, piuttosto che quindici valute e quindici Istituti di
emissione con ancora qualche residuo legame con i ministri economici, i
governi e il mondo politico. All’articolo 7 dello Statuto del Sistema
Europeo di banche Centrali e della BCE si legge: “Né la BCE, né
una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi
decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni
o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri, né da
qualsiasi altro organismo”. Le banche centrali delle singole
nazioni europee, prima del Trattato di Maastricht, avevano
un’indipendenza dal potere politico variabile tra il 40 e il 65 %; oggi,
dopo i cambiamenti determinati dall’avvento dell’Euro, hanno raggiunto
il 90 %. Dunque, mentre nessuna influenza può giungere dal potere
politico alla BCE, dai vertici monetari giungono al potere politico
continue indicazioni, parametri cui attenersi, precisi paletti che
coinvolgono l’intera economia delle nazioni.
Come giustamente osserva Bruno Tarquini, già procuratore della Repubblica a Teramo, nel suo “La banca, la moneta e l’usura”,
“lo Stato ha rinunciato alla propria sovranità monetaria, trasferendola
a un istituto privato: questo perciò, in perfetta autonomia e
indipendenza, esercita una pubblica funzione di essenziale rilevanza per
la vita della Nazione, essendo noto che la politica monetaria (vale a
dire l’emissione della moneta e la regolamentazione della sua
circolazione nonché del mercato monetario) condiziona l’intero sistema
economico di uno Stato e influisce quindi anche sulla sua politica
generale, e particolarmente su quella sociale”. È davvero singolare come
il Trattato di Maastricht si sia preoccupato di definire la BCE
esclusivamente per ciò che riguarda la sua indipendenza. Francesco
Papadia e Carlo Santini, nel loro “La banca centrale europea”,
ricordano: “Dalla lettura del Trattato emerge la particolare
collocazione della banca centrale europea nell’assetto istituzionale
dell’Unione Europea. L’articolo 4, infatti, non la menziona tra le
istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di
giustizia e Corte dei conti) della Comunità. Alla banca, però, il
Trattato conferisce personalità giuridica e lo Statuto riconosce la più
ampia capacità di agire in ciascuno degli Stati membri. Sotto il profilo
giuridico-formale, la banca centrale europea non è, dunque,
un’istituzione comunitaria [...], i suoi atti non sono imputabili alla
Comunità. La banca centrale europea è inserita in una cornice giuridica
che ne stabilisce e ne tutela l’indipendenza nell’attuazione della
politica monetaria”. La BCE determina dunque, in perfetta autonomia,
come se ciò non avesse rilevanza politica e sociale, il livello dei
tassi di interesse ufficiali, cioè il costo del denaro, in altre parole:
la politica di espansione o di restrizione monetaria. E, se non
bastasse, decide e guida, in perfetta indipendenza, tutte le operazioni
di acquisto e di vendita degli euro contro altre valute sul mercato dei
cambi. E le banche centrali nazionali devono conformarsi in tutto e per
tutto alle direttive della BCE – il consiglio direttivo vigila
attentamente! -, altrimenti bacchettate sulle dita, con tutto il potere
per farlo! La BCE, e di conseguenza anche tutte le banche centrali
nazionali, ufficialmente – e ormai questo è scritto a chiare lettere,
nero su bianco, nei Trattati e nei Regolamenti – non possono concedere, per nessun motivo, crediti agli Stati, o alla comunità europea o a qualsiasi altro soggetto pubblico,
e quindi è loro proibito acquistare titoli di Stato, sia al momento
dell’emissione che successivamente. Non solo: se prima di Maastricht,
qualche banca centrale, come sopra ricordato, poteva ancora prevedere
allo Stato un parziale ritorno del Signoraggio, reddito ottenuto
attraverso la politica monetaria, alla BCE si fa obbligo di non fare
uscire neanche un centesimo dalle casse del Sistema europeo di banche
centrali.
E, ancora, mentre i dibattiti e le
sedute della camera dei deputati e del senato sono aperti al pubblico,
le sentenze delle corti di giustizia devono essere dettagliatamente
motivate e pubblicate, le riunioni del consiglio direttivo della BCE
sono assolutamente segretate, ed è lo stesso consiglio che, di volta in
volta, decide se pubblicare le proprie deliberazioni, se pubblicarne
solo alcune parti, o se non pubblicarle affatto. Oltre tutto questo, i
dirigenti della BCE godono di una sostanziale immunità: non sono infatti
previste, all’interno della BCE, sanzioni per comportamenti impropri.
Nei regolamenti si legge che è sufficiente il rischio di perdere
credibilità e fiducia per garantire la certezza dell’operato dei
dirigenti. Solo in caso di colpe gravissime e di comportamento
palesemente illegittimo può intervenire la Corte di giustizia e
occuparsi del caso. La perdita delle sovranità monetaria e legislativa,
che sono parti essenziali della sovranità nazionale, da parte degli
Stati europei, è stata stabilita in maniera irrevocabile. Ed alla
chetichella. In Italia, come sottolineò Ida Magli su “il Giornale”
dell’11 marzo 2001, “nella
legge di riforma della Costituzione, approvata dalla maggioranza di
sinistra in gran fretta poche ore prima dello scioglimento delle Camere,
c’è un passo fondamentale e che pure non è stato portato a conoscenza
dei cittadini né prima né dopo della sua approvazione”.
Si tratta dell’articolo 117 in cui si
stabilisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
In queste tre righe è codificata la perdita della sovranità legislativa
dell’Italia. Per questo l’articolo 117 non è stato discusso
apertamente: GLI ITALIANI NON DEBBONO SAPERE”. Forse,
la politica della democrazia è proprio questa. Da qualche parte si è
sentito il dovere di coinvolgere ed ascoltare il popolo attraverso
regolari referendum, e lì, vedi il caso della Danimarca e della Svezia,
Maastricht ed euro sono rimasti lettera morta. Il popolo ha detto no!
Ma queste sono rare eccezioni. Molto democraticamente, a tutti gli
altri paesi europei è stato imposto di uniformarsi al modello americano
senza diritto di replica, senza alcun referendum. Scrive Giulietto Chiesa sul suo “La guerra infinita”:
“È il denaro che decide non più soltanto come l’economia deve
procedere, ma anche – direttamente, immediatamente – come l’America deve
essere governata. [...] Il popolo, come tutto il resto, non è più
sovrano di nulla, essendo diventato, nel frattempo, consumatore.
Non ha forse invitato, l’imperatore Bush, pochi giorni dopo il tremendo impatto terroristico, i suoi elettori a ‘tornare a fare shopping’?”.
Fonte: sovranidade.org
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