I padroni del mondo.

Ma, per capire questo diabolico
“sistema” è necessario andare con ordine e quindi è indispensabile
cominciare definendo il ruolo strategico delle Banche Centrali.

La federal reserve, col suo 25 % di
proprietà e con la costante, servile disponibilità della banca
d’Inghilterra, ha gioco facile nel determinare il bello e il cattivo
tempo. Nell’ambito della la banca dei regolamenti internazionali BRI, le
banche centrali dei paesi più industrializzati del mondo, Stati Uniti,
Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada, Olanda,
Belgio, Svezia e Svizzera, hanno istituito appositi comitati di
vigilanza internazionale: il CBVB, “Comitato di Basilea sulla Vigilanza bancaria”; il CSPR, “Comitato sui Sistemi di Pagamento e Regolamento”; e il CSFG,
“Comitato sul Sistema Finanziario Globale”. Le nomine dei governatori
delle banche centrali delle varie nazioni del mondo, prima di giungere
alla ratifica dei rispettivi governi, dove ciò è ancora previsto, devono
essere approvate dalla BRI; se a Basilea non sono d’accordo, tutto
viene rimesso in gioco, si vagliano altre candidature, più gradite ai
signori della Banhofplatz, fino ad individuare l’uomo adatto a gestire, a
livello nazionale, le decisioni che vengono assunte lassù, nell’Olimpo
dei potentissimi Morgan, Rockefeller, Warburg, Rothschild…

Mark Alonzo Hanna, consulente del presidente USA William McKinley e mitica figura di organizzatore di campagne elettorali, citato anche da Bush jr., ebbe ad affermare nel 1896: “Per vincere occorrono due cose. La prima è avere molti soldi… la seconda non me la ricordo”.
Ed è per questo che la scalata dei signori del denaro non è iniziata
all’interno dell’area politica o delle istituzioni rappresentative delle
singole nazioni. Si è sviluppata dove i soldi si fabbricano,
all’interno delle banche centrali, affiancandone l’attività con una
miriade di istituzioni internazionali, enti, fondazioni, banche di
credito e d’affari tutte rigidamente dirette o controllate tra loro. Una
ragnatela così ampia e articolata da consentire il progressivo
condizionamento planetario di tutte le attività: la “Trilateral Commission”, il “Council on Foreign Relations”, il “Bilderberg Group”, il “Club di Roma” il “Club de Paris”, il “FMI”, la “BM”, l’“OMC” (organizzazione mondiale del commercio), la “CCI” (camera di commercio internazionale), l’“Institute of International Finance”, il “Forum di Davos”; e, ancora, il “Comitato di Bali”, per la supervisione bancaria; l’“IOSCO” (International Organisation of Securities Commissions) per la supervisione delle borse e dei mercati di capitali; l“ISMA” (International Securities Market Association); l’“IAIS” (International Association of Insurance Supervisors) per la vigilanza sulle compagnie di assicurazione; e l’“ISO”
(International Standard Organisation) alla quale è demandato l’incarico
di definire gli standard industriali, tanto per citarne i più noti e
importanti.

Teddy è il fratello minore del defunto sir James Goldsmith, speculatore mondiale in materie prime, uno dei dodici uomini più ricchi del mondo, cugino dei “Rothschild”. Da una interessante indagine di Maurizio Blondet si può arrivare a mettere in luce anche le relazioni che legano il mondo dei “No Global” ad un altro celebre miliardario, George Soros: “Ebreo ungherese naturalizzato americano,
Soros è diventato enormemente ricco e famoso con speculazioni
internazionali sulla lira negli anni 90, il genere di operazioni
possibili nel “mercato globale”. Dunque, ovunque si cerchi, escono fuori
soldi, enormi quantità di soldi, creati dal nulla, attraverso i quali i
soliti potenti signori indirizzano, condizionano, determinano,
controllano. Per ciò che riguarda l’Europa, taluni sono indotti a
credere che l’euro sia il punto di arrivo spontaneamente perseguito
dalle nazioni del vecchio continente, nel quadro della loro volontà di
unificazione. Il professor Joshua Paul, docente della Georgetown University, ha pubblicato nell’autunno del 2000 una serie di documenti del Bilderberg Group,
sino ad allora tenuti segreti, che documentano come da cinquant’anni
quegli ambienti stessero lavorando perché l’Europa si dotasse di
un’unica valuta. Già nel 1948 le Fondazioni Ford e Rockefeller avevano dato vita all’American Committee for a United Europe,
con lo scopo di condizionare lo sviluppo monetario, economico e
politico del nostro Continente in modo convergente agli interessi degli
Anglo/Americani.
Un memorandum della sezione “Europa” del Dipartimento di Stato americano, in data 11 giugno 1965, riporta precisi suggerimenti al vicepresidente della Comunità Economica Europea, Robert Marjolin, per giungere al varo di un’unica valuta europea, non come concorrente del dollaro, ma come “agevole mezzo di controllo” delle
economie delle singole nazioni europee. È infatti molto più semplice
controllare un’unica entità monetaria e un’unica banca centrale
indipendente, piuttosto che quindici valute e quindici Istituti di
emissione con ancora qualche residuo legame con i ministri economici, i
governi e il mondo politico. All’articolo 7 dello Statuto del Sistema
Europeo di banche Centrali e della BCE si legge: “Né la BCE, né
una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi organi
decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni
o dagli organi comunitari, dai governi degli Stati membri, né da
qualsiasi altro organismo”. Le banche centrali delle singole
nazioni europee, prima del Trattato di Maastricht, avevano
un’indipendenza dal potere politico variabile tra il 40 e il 65 %; oggi,
dopo i cambiamenti determinati dall’avvento dell’Euro, hanno raggiunto
il 90 %. Dunque, mentre nessuna influenza può giungere dal potere
politico alla BCE, dai vertici monetari giungono al potere politico
continue indicazioni, parametri cui attenersi, precisi paletti che
coinvolgono l’intera economia delle nazioni.
Come giustamente osserva Bruno Tarquini, già procuratore della Repubblica a Teramo, nel suo “La banca, la moneta e l’usura”,
“lo Stato ha rinunciato alla propria sovranità monetaria, trasferendola
a un istituto privato: questo perciò, in perfetta autonomia e
indipendenza, esercita una pubblica funzione di essenziale rilevanza per
la vita della Nazione, essendo noto che la politica monetaria (vale a
dire l’emissione della moneta e la regolamentazione della sua
circolazione nonché del mercato monetario) condiziona l’intero sistema
economico di uno Stato e influisce quindi anche sulla sua politica
generale, e particolarmente su quella sociale”. È davvero singolare come
il Trattato di Maastricht si sia preoccupato di definire la BCE
esclusivamente per ciò che riguarda la sua indipendenza. Francesco
Papadia e Carlo Santini, nel loro “La banca centrale europea”,
ricordano: “Dalla lettura del Trattato emerge la particolare
collocazione della banca centrale europea nell’assetto istituzionale
dell’Unione Europea. L’articolo 4, infatti, non la menziona tra le
istituzioni (Parlamento europeo, Consiglio, Commissione, Corte di
giustizia e Corte dei conti) della Comunità. Alla banca, però, il
Trattato conferisce personalità giuridica e lo Statuto riconosce la più
ampia capacità di agire in ciascuno degli Stati membri. Sotto il profilo
giuridico-formale, la banca centrale europea non è, dunque,
un’istituzione comunitaria [...], i suoi atti non sono imputabili alla
Comunità. La banca centrale europea è inserita in una cornice giuridica
che ne stabilisce e ne tutela l’indipendenza nell’attuazione della
politica monetaria”. La BCE determina dunque, in perfetta autonomia,
come se ciò non avesse rilevanza politica e sociale, il livello dei
tassi di interesse ufficiali, cioè il costo del denaro, in altre parole:
la politica di espansione o di restrizione monetaria. E, se non
bastasse, decide e guida, in perfetta indipendenza, tutte le operazioni
di acquisto e di vendita degli euro contro altre valute sul mercato dei
cambi. E le banche centrali nazionali devono conformarsi in tutto e per
tutto alle direttive della BCE – il consiglio direttivo vigila
attentamente! -, altrimenti bacchettate sulle dita, con tutto il potere
per farlo! La BCE, e di conseguenza anche tutte le banche centrali
nazionali, ufficialmente – e ormai questo è scritto a chiare lettere,
nero su bianco, nei Trattati e nei Regolamenti – non possono concedere, per nessun motivo, crediti agli Stati, o alla comunità europea o a qualsiasi altro soggetto pubblico,
e quindi è loro proibito acquistare titoli di Stato, sia al momento
dell’emissione che successivamente. Non solo: se prima di Maastricht,
qualche banca centrale, come sopra ricordato, poteva ancora prevedere
allo Stato un parziale ritorno del Signoraggio, reddito ottenuto
attraverso la politica monetaria, alla BCE si fa obbligo di non fare
uscire neanche un centesimo dalle casse del Sistema europeo di banche
centrali.

Si tratta dell’articolo 117 in cui si
stabilisce: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle
Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
In queste tre righe è codificata la perdita della sovranità legislativa
dell’Italia. Per questo l’articolo 117 non è stato discusso
apertamente: GLI ITALIANI NON DEBBONO SAPERE”. Forse,
la politica della democrazia è proprio questa. Da qualche parte si è
sentito il dovere di coinvolgere ed ascoltare il popolo attraverso
regolari referendum, e lì, vedi il caso della Danimarca e della Svezia,
Maastricht ed euro sono rimasti lettera morta. Il popolo ha detto no!
Ma queste sono rare eccezioni. Molto democraticamente, a tutti gli
altri paesi europei è stato imposto di uniformarsi al modello americano
senza diritto di replica, senza alcun referendum. Scrive Giulietto Chiesa sul suo “La guerra infinita”:
“È il denaro che decide non più soltanto come l’economia deve
procedere, ma anche – direttamente, immediatamente – come l’America deve
essere governata. [...] Il popolo, come tutto il resto, non è più
sovrano di nulla, essendo diventato, nel frattempo, consumatore.
Non ha forse invitato, l’imperatore Bush, pochi giorni dopo il tremendo impatto terroristico, i suoi elettori a ‘tornare a fare shopping’?”.
Fonte: sovranidade.org
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