
Chi organizza questi esperimenti per terrorizzare la popolazione?
«Non lo sapremo mai. Resta da indovinare se il presidente in carica è al
corrente, ovvero se ci sono forze che agiscono anche indipendentemente
dal presidente, oltre lui e sopra di lui, e che lui è costretto ad
avallare, a posteriori». Il clamore di Boston è stato anche
provvidenziale: ha oscurato la prima pagina del “New York Times”, che il
16 aprile sparava la notizia del drammatico esito della commissione
d’inchiesta del Congresso: gli Stati Uniti hanno praticato
sistematicamente la tortura a partire dall’11 settembre del 2001. Il
presidente e i suoi massimi consiglieri – recita la sentenza – erano al
corrente del fatto che «pene e tormenti venivano inflitti su diversi
detenuti in nostra custodia». Una bomba storica, contro gli ultimi tre
presidenti: il democratico Bill Clinton, che preparò il terreno
giuridico per le mostruosità che avvennero “dopo”, per includere i due
mandati di George Bush Jr, fino ai due mandati non ancora conclusi di
Barack Obama, coinvolto nella vicenda perché coprì le responsabilità del
suo predecessore, tentando di bloccare l’inchiesta che lo riguardava nel 2009.
L’attentato di Boston, i bombardamenti israeliani su Damasco, la finta crisi
tra Stati Uniti e Corea del Nord: sembrano eventi del tutto scollegati
tra loro, ma purtroppo non lo sono. Al contrario, sembrano tutti segnali
del convergere verso una “resa dei conti” su scala planetaria, tra Usa e Cina. Riletti in controluce, gli ultimi eventi parlano chiaro: a Boston si fanno prove generali per sospendere la democrazia
sostituendola con lo stato d’assedio, utilizzando la paura. In Siria,
l’intervento militare di Israele rischia di far precipitare la crisi
verso un conflitto epocale con l’Iran. E la sfida ridicola inscenata da
Pyongyang serve solo a consentire al Pentagono di traslocare armamenti
in prossimità dei confini cinesi. E il presidente Obama? Non pervenuto.
E’ lui il cuore del problema: «Adesso – dice Giulietto Chiesa – si vede
in trasparenza che l’“uomo nuovo” della politica statunitense ha la stessa libertà di manovra di un fringuello in gabbia».

Mai seriamente monitorata e analizzata dai media, la situazione illumina un caos pericolosamente simile a quello che preparò la Seconda Guerra Mondiale, scrive Chiesa su “La Voce delle Voci”.
«Gli Stati Uniti sembrano una barca alle deriva. Con un presidente che,
apparentemente, essendo più libero di agire nel suo secondo mandato,
era stato dato come all’offensiva su molti fronti. E invece non solo non
è affatto all’offensiva, ma sta subendo un’offensiva interna che appare
oscura, ma che ha le sembianze neocon del suo predecessore». Povero
Obama? Lo stesso Chiesa l’aveva definito «la più straordinaria e ben
riuscita operazione di maquillage di tutta la storia». Conclusione per
niente rassicurante: se il presidente si rivela un peso piuma, sono
altri i super-poteri che manovrano al posto suo, e non certo per il bene
di tutti. Esempio lampante, la Corea del Nord. Un paese che gli Usa
potrebbero cancellare all’istante. Eppure: «Il giovanotto di Pyongyang
si mette all’improvviso a strillare e minacciare, apparentemente senza
motivo. Tutti i media
si mettono a starnazzare anche loro come galline impazzite e, per una
decina di giorni, il mondo intero appare sull’orlo di uno scontro
nucleare tra il gigante americano e il nano nordcoreano».

Evidentemente, aggiunge Chiesa, non c’era nulla di più serio di un
accurato gioco delle parti, nel quale la parte più potente faceva finta
di sentirsi minacciata, sapendo perfettamente che la minaccia di Kim era
semplicemente inesistente. Il vero scopo era diverso: «Consentire al
Pentagono di mettere a punto gli orologi, e portare le armi e le più
raffinate tecnologie americane negli immediati pressi di Pechino». Ma
attenzione, il vero problema è politico: la crisi
con la Corea del Nord, osserva Giulietto Chiesa, non è stata aperta né
da Obama, né dal suo ministro degli esteri. «Si potrebbe pensare che ci
sia un legame diretto, ben più solido, tra Kim Yong Un e il Pentagono, o
la Cia, o con tutti e due». Ecco il punto: Obama è stato costretto ad
assecondare gli eventi, decisi all’interno di stanze più potenti e non
controllabili. «Fatto decantare il polverone, John Kerry si è affacciato
sull’uscio e ha detto che troppo allarme era esagerato e
contro-producente. Fine
della commedia: si erano messi d’accordo per ricompensare il “dittatore
pazzo”. Resta solo da chiarire chi ha acceso il fiammifero».
L’incendiario non è Obama, «i cui capelli stanno ingrigendo a
velocità supersonica, date le circostanze». Al presidente democratico «è
stato affidato il compito, forse per lui ingrato, di portare a
compimento la profezia dei neocon», cioè i potentissimi manovratori
della destra americana che «presero il potere,
con un vero e proprio colpo di stato, nell’anno 2000, portando alla
presidenza George W. Bush», tecnicamente sconfitto da Al Gore.
Scrissero, nel famoso “Project for The New American Century”, che la
Cina sarebbe divenuta il pericolo principale per la sicurezza degli
Stati Uniti nel 2017. Previsione ripetuta nei documenti successivi,
concernenti la sicurezza nazionale. «Era il 1998. Forse non era una
profezia, sebbene si trattasse di eventi del futuro. Forse avevano fatto
i loro calcoli e avevano pensato con quale Cina avrebbero avuto a che
fare, tenendo conto dei tassi di crescita del suo Pil, dei suoi
armamenti, della sua finanza,
della sua tecnologia, della sua popolazione. Se non si tengono sempre
presenti quelle previsioni, difficilmente di potrà capire cosa sta
succedendo in America e fuori, mentre nel frattempo l’Occidente intero è entrato nella più grave crisi della sua intera vicenda imperiale».

Il secondo problema per Obama si chiama Siria. «Il ruolo che avrebbe
voluto recitare era quello del moderato e prudente. Aveva provato la
parte nella vicenda della guerra contro la Libia di Gheddafi, facendola passare – media occidentali compiacenti – come una guerra anglo-francese. In realtà se non ci fossero stati il Pentagono e la Cia quella guerra
non sarebbe stata nemmeno tecnicamente possibile». Dunque Obama ha
provato a replicare stesso film a Damasco, ma c’è riuscito solo fino a
gennaio di quest’anno. Basso profilo, col via libera accordato ad Arabia
Saudita, Qatar e Turchia, per scatenare contro Damasco un intero
esercito di almeno 25.000 mercenari, senza contare le sanzioni per
strangolare il regime di Bashar Assad e il ponte aereo che da mesi, con
centinaia di velivoli, rifornisce di armi e munizioni il “Free Syrian
Army”. «Gli Stati Uniti non sono mai stati in disparte in questa guerra: non una sola pallottola è stata sparata senza il consenso
di Washington», ormai incline a fornire armi “sempre più letali” ai
ribelli mercenari, mescolati con i residuati di Al-Qaeda.
«Obama voleva una tattica di logoramento, in modo che Bashar cadesse
da solo, come una pera matura, senza costringere l’America a sporcarsi
troppo le mani». Ma Assad è riuscito a resistere, e – fatto
clamorosamente pericoloso – è venuta crescendo «la fregola di Israele,
che ha bombardato direttamente il territorio siriano e perfino Damasco».
Ecco il problema: «E’ stato Israele a inventare le armi chimiche
siriane, e probabilmente è stato qualche commando israeliano a piazzare
qualche bomba chimica, o a consegnarle ai tagliagole del Free Syrian
Army». Retroscena: Tel Aviv ha fretta, perché la caduta di Damasco è
preliminare all’attacco contro Teheran. «E qui Obama ha di nuovo fatto
la figura del vaso di coccio schiacciato dal vaso di ferro Netanyhau»,
sostiene Chiesa. «Anche qui l’impressione è che il presidente americano
conti meno dei suoi militari o dei suoi servizi segreti, che vanno a
trattare direttamente con Israele e si muovono con grande disinvoltura
per conto proprio». Così, una volta “scoperte” le armi chimiche della
Siria, Obama ha dovuto recitare la parte di colui che è costretto, suo
malgrado, a minacciare di ricorrere alla forza in modo scoperto, usando
«tutti i mezzi». Armi chimiche contro la popolazione? «Non resta dunque
che aspettare che il Mossad e la Cia forniscano le prove».

Ci vorrà qualche cautela: per fornire le “prove” contro Assad si
dovrebbe ammettere che il Mossad sta agendo sul territorio siriano,
insieme ai servizi segreti di Turchia, Francia e Gran Bretagna e,
naturalmente, alla Cia. «Ma è solo questione di tempo. E a quel punto
Barack Obama darà l’ordine che forse avrebbe preferito non dare». Ma i
segnali di sconfitta del presidente americano sono ormai quotidiani.
Come lo scacco subito al Senato il giorno stesso delle bombe di Boston:
bocciata la sua proposta di limitazione alla vendita di armi ai civili.
Sempre quel giorno, le bombe «subito attribuite a un “commando ceceno”
composto da due “terroristi”, tanto improbabili quanto le loro origini
etniche», hanno permesso all’Fbi, «con modesto dispendio di morti, di
paralizzare la città per una intera settimana, chiudendo in casa tutti
gli abitanti e terrorizzando l’America intera». Prove tecniche
di stato d’assedio: «Perché? Cosa si sta preparando?». Giulietto Chiesa
cita una famosa “profezia” di Bertolt Brecht: «Se il fascismo arriverà
in America avrà il volto della democrazia».
Nessuno sconto per Obama, «noto per non avere chiuso Guantanamo Bay e
per avere fatto ammazzare più di 4000 “terroristi” mediante droni che
hanno agito fuori dal territorio americano, cioè in aperta violazione di
tutte le leggi internazionali». La prima inchiesta contro Bush fu
bloccata dall’attuale capo della Casa Bianca, che però non è riuscito a
fermare la denuncia bipartisan del repubblicano Asa Hutchinson e del
democratico James Jones. «Bomba chiama bomba», conclude Giulietto
Chiesa: «Se ci furono torture sui “nemici combattenti”, tutte le loro
confessioni sono inutilizzabili (anche secondo la legge americana). E,
dunque, anche le conclusioni dell’inchiesta ufficiale sull’attentato
alle Torri Gemelle e al Pentagono sono nulle. I morti e la polvere di
Boston hanno coperto “l’incriminazione” di Obama. Nessuno, fuori dagli
Stati Uniti, ha mostrato di accorgersene. Siamo tutti troppo
distratti?». E mentre Obama affonda, costretto a rincorrere gli eventi,
qualcuno piazza bombe, da Boston a Damasco. E intanto mette a punto
batterie di missili lungo le frontiere della Cina.
Fonte:
http://www.libreidee.org/2013/05/scacco-a-obama-padroni-del-futuro-i-signori-della-guerra/
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