La repubblica dei manganelli
Da Milano a
Napoli, passando per Roma, Niscemi, la Val Susa e cento altri luoghi.
Dato comune: i presìdi di protesta o le occupazioni pacifiche finiscono
quasi sempre con le cariche di polizia.
Quando abbiamo
parlato – all'inizio del governo Monti – di “fine della mediazione”, sia
sul piano sociale che su quello politico, non tutti hanno capito. Come
sempre, da destra ci hanno detto che esageravamo, che in fondo si può
ancora manifestare liberamente, ecc. Da “sinistra”, si fa per dire, ci
segnalavano pigramente che in fondo non c'era nessuna novità, che il
capitalismo ha sempre usato la repressione, ecc.
C'è invece
stato un salto di qualità. Non tanto sull'”intensità” dell'uso delle
forze di polizia, quanto sulla “sistematicità” degli interventi.
Insomma: non si viene picchiati più di prima, ma si viene picchiati
quasi sempre.
E non dipende
dai “comandanti di piazza”, né dai comportamenti dei manifestanti.
Abbiamo infatti visto all'opera studenti molto pacifici e palesemente
alle prime esperienze di occupazione, mamme preoccupate per la salute
propria e dei figli, famiglie senza casa e anche collettivi che in
piazza ci sono andati spesso, sapendoci anche stare. La risposta è una,
dall'Alpi alle Piramidi.
Le
testimonianze che giungono da tutti questi episodi centrano intanto un
punto: le “forze dell'ordine” sono l'unico interlocutore rimasto tra
protesta sociale e Stato. In senso tecnico: è infatti evidente
dappertutto, anche nelle situazioni sociali più “popolane” (come gli
occupanti di case), come gli agenti e i funzionari non abbiano
disposizioni “politiche” con cui affrontare la protesta e talvolta
cercano di coprire un ruolo non loro dovendo sostituirsi ai poteri
civili. E quindi, spesso, improvvisano. Qualche volta in termini
inizialmente più “dialoganti”. Poi, quando è chiaro che da dentro il
Palazzo non arrivano risposte in grado di incontrare la protesta, vanno
giù per le spicce, a manganellate...
A Napoli,
invece, si è visto un primo – probabilmente “improvvisato” - tentativo
di coniugare “fascismo popolare”, camuffato da sigle sindacali, e azione
repressiva. Poliziotti e fascisti che attaccano insieme, o in rapida
successione.
Nulla di nuovo,
si dirà. Sì. Ma sul piano storico (i fascisti sono sempre stati servitù
e “braccio armato” della classe dominante). Anche negli anni '60 e '70,
per dire, abbiamo assistito spesso a episodi del genere. Ma erano anche
decenni che non si verificavano. Ora tornano, persino sotto le decine
di telecamere che ormai registrano ogni pur piccolo sussulto sociale.
Quarant'anni fa sia i fascisti che le “forze dell'ordine” negavano
qualsiasi intesa tra loro. A Napoli hanno invece agito “a volto
scoperto”, fregandosene di lasciare una traccia video così evidente.
Sta cambiando qualcosa.
Per i movimenti
queste “novità” rappresentano una minaccia e una sfida. È chiarissimo
che i famosi “rapporti di forza” sono totalmente negativi e quindi non
c'è assolutamente ragione di farsi risucchiare nella “fisicità” dello
scontro.
Una prima presa
d'atto ci sembra però necessaria. Tra le tante cose che sono ormai
finite, in politica, c'è anche l'autosufficienza di ogni singola
situazione di lotta o struttura organizzata. Le “singolarità”
conflittuali potevano restare tali anche per decenni quando una
“mediazione sociale e politica” era agibile, in vigore, in un certo
senso garantita da un assetto costituzionale abbastanza riconosciuto.
Non è più così.
Il principio dell'”autonomia” va quantomeno elevato di livello. Non può
più significare solitudine, piccolo gruppo in concorrenza con tutti gli
altri, nell'inutile attesa di diventare “egemone” sugli altri e simili.
Elevazione a
coordinamento, movimento politico nazionale in grado di “fare massa
critica”, e quindi di “far pesare” una soggettività altrimenti
pulviscolare. Insomma, facile preda degli “aspirapolvere” repressivi.
Non deve essere un caso se, all'opposto, la relazione annuale dei
servizi segreti segnala con preoccupazione i tentativi di unificare o
ricomporre le vertenze, le lotte e i movimenti. Se a loro dispiace che
avvenga, allora è giusto farlo...
Il capitale,
l'Europa, l'imperialismo, lo Stato costituiscono un dispositivo ormai
almeno continentale. Lo si può contrastare, certo, solo partendo dalla
specificità delle situazioni e dei bisogni. Ma solo se la partenza si
sviluppa in un viaggio in una direzione unitaria. Si può pensarla come
si vuole su molte cose, ma non si può aspettare di raggiungere un
accordo sulle parole – dai tempi potenzialmente infiniti – per
cominciare a praticare una Resistenza efficace.
Anche per questo, a Bologna, sabato 11 maggio si dovrà cominciare a ragionare sul serio.
Dante Barontini da Contropiano
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