IL MISTERIOSO ANDAMENTO DELLO SPREAD SUI BTP
Nessuno ne parla più ora che l’emergenza è rientrata, eppure sino a qualche mese fa sembrava essere il principale (se non unico)
“termometro” per misurare lo stato di salute della nostra economia. Parliamo dello spread, ossia il differenziale di rendimento
tra i nostri Buoni del Tesoro decennali e i Bund tedeschi.
Ormai da
tempo il valore dello spread si è stabilizzato sotto i 300 punti base e
mentre scriviamo l’ultimo dato disponibile si ferma a
256 punti, ma in passato era arrivato a toccare quota 550.
Dunque il
valore dello spread, che ha turbato i nostri sonni per mesi, ha smesso
di rappresentare un’emergenza economica ma la
domanda che tutti, a cominciare da economisti e politici, dovremmo
porci, per non incorrere in futuro in brutte sorprese, è: perché si sia
verificata, nell’autunno 2011, l’impennata del
differenziale e come si è riusciti a farla rientrare? Alti livelli di
spread infatti, come la febbre, sono il sintomo di un problema piuttosto
che il problema in sé, e a tutt’oggi le spiegazioni di
questa crisi di fiducia dei mercati così come del suo sostanziale
rientro non trovano spiegazioni razionali.
Partiamo dalla definizione di cosa sia lo spread: per spread tra
BTP/BUND si intende il
differenziale tra il rendimento dei nostri titoli decennali e quelli
tedeschi. In pratica lo spread misura il valore degli interessi che lo
Stato italiano deve offrire sul mercato internazionale
per collocare i propri titoli pubblici e lo mette in relazione con
quello applicato dalla Germania. E’ facile capire che più un titolo
appare rischioso, e dunque più l’economia di un Paese è in
situazione critica, più alti dovranno essere gli interessi che lo
Stato in questione deve garantire a chi acquista i suoi buoni del
tesoro, in quanto più un investimento è rischioso più il suo
rendimento deve essere alto. L’ovvio corollario è che più uno Stato si
trova in difficoltà più interessi dovrà versare a chi ne finanzia il
debito pubblico attraverso la sottoscrizione di titoli.
Nel caso italiano dunque l’impennata dello spread non solo indicava,
in linea teorica, che la nostra economia appariva in pessime condizioni,
ma ci costava tassi di interessi molto alti, che
sarebbero andati ad aggravare ulteriormente il nostro già altissimo
debito pubblico, nel più classico dei circoli viziosi.
Abbiamo detto “in linea teorica” perché mentre gli effetti negativi di un alto valore del nostro spread sono un dato oggettivo e
incontestabile l’equazione (aumento dello spread = cattiva condizione economica;
diminuzione dellospread =
miglioramento della situazione economica), appare tutt’altro che provata dai fatti.
Facciamo
un passo indietro e torniamo alla crisi dell’autunno 2011 che ha portato
alla caduta del governo Berlusconi e che, secondo la
“teoria ufficiale” è dipesa dalla mancanza di fiducia da parte dei
mercati nella capacità del governo Berlusconi di affrontare i problemi
dell’economia italiana, e in particolare di ridurre il
rapporto debito/Pil che pesa sul nostro futuro come una spada di
Damocle. Debito pubblico molto alto, scarsi livelli di crescita e un
governo ritenuto non in grado di migliorare i conti pubblici,
dunque, avessero convinto gli investitori internazionali che alla
lunga il sistema Italia rischiava di non reggere.
Vedendo
però quali erano, a livello macroeconomico, i dati di quel periodo, come
sono cambiati e come si è modificato di conseguenza il
valore dello spread, la prima
parte del teorema sopra citato crolla come un castello di carte.
Infatti a
ottobre 2011 il rapporto debito/Pil in Italia era del 120%, ossia il
debito fino ad allora accumulato superava di un 20% la
ricchezza complessiva prodotta in un anno nel Paese. Naturalmente in
presenza di una forte crescita il dato si sarebbe ridimensionato e i
conti si sarebbero riequilibrati, ma la crescita economica
nel 2011 era asfittica; sotto l’un per cento su base annua, troppo
poco per consentire un riequilibrio dei conti pubblici. Dunque questi
dati hanno portato l’allarme sui mercati internazionale e
lo spread ha cominciato
a crescere in maniera incontrollata fino a toccare quota 550.
A seguito
delle dimissioni del governo Berlusconi Mario Monti è stato chiamato al
governo e ha applicato le famose misure di austerità
volute dall’Europa per risanare i conti pubblici e ridare fiducia
nell’Italia ai mercati e questa fiducia, guardando al differenziale di
rendimento, è stata effettivamente recuperata, essendo lo
spread sceso a meno della metà del valore di quelle drammatiche
settimane. Peccato però che il risanamento dei nostri conti non solo non
sia avvenuto, ma al contrario ci troviamo in una situazione
ben peggiore di quella di un anno e mezzo fa. Il nostro debito
pubblico, infatti, nel frattempo è aumentato mentre non solo non si è
avuto l’auspicato aumento della crescita, ma al contrario siamo
entrati in una lunga fase di recessione, con il risultato che il
rapporto debito/Pil che era al 120% è cresciuto di 10 punti, e si
prevede che continui a crescere nel prossimo anno. Dunque tutti
gli indici economici e finanziari che “preoccupavano i mercati” sono
peggiorati nell’ultimo anno e mezzo, eppure miracolosamente lo spread è
crollato, il che a rigor di
logica dovrebbe far pensare a un comportamento irrazionale e dei tanto
sbandierati “mercati”. Qualcuno ha poi sostenuto che il problema non
era prettamente economico, quanto politico. Non era
cioè il cattivo stato dell’economia italiana che faceva fuggire gli
investimenti, ma la debolezza e inaffidabilità del governo di
centrodestra, e la guida di Berlusconi in particolare, che ci
penalizzava. In questo senso la sua sostituzione con un tecnico che
godeva di stima a livello internazionale sarebbe stato un elemento utile
a rassicurare i mercati, a prescindere da quali
politiche il nuovo governo avesse implementato e dai loro risultati
concreti (il che peraltro sarebbe comunque una dimostrazione di
irrazionalità da parte degli investitori internazionali). Anche
questa ipotesi, tuttavia, appare smentita dai fatti successivi alle
elezioni politiche del febbraio 2013, le quali ci hanno consegnato (come
peraltro avevamo previsto con molti mesi di anticipo
nell’articolo intitolato “l’incubo dell’ingovernabilità”) un paese
spaccato e difficilmente governabile; ci hanno obbligato a mesi di
estenuanti e inconcludenti trattative e, infine, ci hanno
portato a un governo di larghe intese in cui lo stesso Berlusconi è
determinante e, stando ai sondaggi, è il principale candidato a
governare se si andrà, come probabile, a nuove elezioni.
Dunque appare chiaro che tutte le spiegazioni date alla crisi dello spread che ci ha colpito si sono
rivelate, alla prova dei fatti, semplicemente false.
Ma allora cosa è successo? Cosa ha determinato l’impennata dello spread e, successivamente, il suo
abbassamento?
Possiamo
oggi affermare che si è trattato di una scelta “politica” della
Germania, portata avanti attraverso Deutsche Bank che, un paio
di mesi prima, ha deciso di mettere in vendita circa 7 miliardi di
Btp italiani a luglio 2011.
A fare
uscire l’Italia dall’emergenza e a consentire che il differenziale di
rendimento tornasse a livelli accettabili poi non è stato
Monti, e tantomeno sono stati gli effetti negativi delle sue politiche
di austerità, ma piuttosto un altro “SuperMario”, ossia Draghi che ha
fatto acquistare alla BCE un enorme quantità di titoli
italiani, l’esatto opposto di quanto fatto dalla Deutsche Bank.
La stessa
Germania poi, secondo alcuni osservatori che mirava attraverso uno
scaltro uso della “crisi” da lei stessa agevolata, a
ottenere da un lato una maggiore aderenza dei Paesi considerati
“cicale” alla dottrina tedesca dell’austerità, dall’altro ad acquistare a
prezzo di saldo i gioielli industriali del nostro Paese,
sembra ora essersi resa conto di aver tirato troppo la corda, e ha
deciso di scendere, per il momento, a più miti consigli, tornando a
parlare di insufficienza dell’austerity e della necessità di
misure antirecessive. Ed è questa la vera ragione per la quale ora,
nonostante i nostri conti pubblici e la nostra economia versino in
condizioni peggiori di prima, la minaccia dello spread non
sembra più fare paura.
Scritto da: Arnaldo Vitangeli - Fonte: lafinanzasulweb.it
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