Pena di morte in Iran: nel 2012 è stata una mattanza
Almeno 580 esecuzioni, solo la metà delle quali ammesse dalle autorità, le altre desunte incrociando varie fonti non ufficiali; 60 esecuzioni avvenute in pubblico, più di una ogni 10, a dimostrazione di come la pena di morte sia sempre più usata come strumento di controllo sociale basato sul terrore.
Questa è la sintesi estrema, ed estremamente dolorosa, del rapporto 2012 sulla pena di morte in Iran diffuso oggi dall’Organizzazione non governativa Iran Human Rights.
Il dato, già di per sé allarmante e tale da collocare l’Iran al primo posto nel mondo per numero di esecuzioni riconosciute e al secondo posto presumendo, in assenza di dati ufficiali, che anche nel 2012 vi siano state migliaia di esecuzioni in Cina, diventa ancora più atroce se si considera che, aderendo a un principio di prudenza, Iran Human Rights ha escluso dal conteggio 240 delle 325 esecuzioni segrete che sarebbero avvenute nella sola prigione di Vakilabad.
A volerle aggiungere, avremmo una media di oltre due impiccagioni al giorno. Un triste record, che colloca il 2012 tra gli anni, degli ultimi 15, in cui maggiormente è stata applicata la pena di capitale.
Quasi l’80 per cento delle esecuzioni registrate da Iran Human Rights nel 2012, 438 su 580, sono riconducibili a reati di droga, a dimostrazione di quanto scrivemmo mesi fa in questo blog: la strategia antinarcotici del governo iraniano si basa principalmente sulla pena di morte e le agenzie internazionali e i singoli governi che la finanziano, con l’uscita di questo rapporto, sanno una volta di più dove vanno a finire i loro contributi. In Iran, infatti, anche il possesso di 30 grammi di eroina, morfina, cocaina, Lsd, metanfetamina o altre droghe sintetiche è punibile con la morte.
Il boia ha colpito con costanza diverse minoranze etniche e religiose dell‘Iran: gli arabi ahwazi, i curdi, i baluci. Molti altri appartenenti a queste minoranze sono tuttora a imminente rischio di esecuzione. Sono finiti sul patibolo anche 28 cittadini stranieri, di cui 27 afgani e un pachistano.
Sono state messe a morte almeno nove donne. Vi sarebbero stati quattro casi di lapidazione, esclusi però dal rapporto di Iran Human Rights in quanto l’organizzazione sta facendo ulteriori ricerche per ottenere la conferma definitiva. Quello che è certo è che, se la lapidazione è uscita dal codice penale islamico iraniano, essa rimane nella sharia, perciò di fatto fa ancora parte del sistema giuridico iraniano, come ribadito a febbraio scorso da Mohammad Ali Esfenani, portavoce della commissione Giustizia del parlamento iraniano: “La lapidazione è stata tolta soltanto dall’ordinamento giudiziario ma esiste ancora nella sharia e da lì non può essere certo rimossa.”
Alla luce di tutto questo, Iran Human Rights raccomanda alle Nazioni Unite di rinnovare il mandato del Relatore Speciale sulla situazione dei diritti umani in Iran e nominare una commissione d’inchiesta per accertare la verità sulle esecuzioni segrete; ai paesi della comunità internazionale, di fare pressione sulle autorità iraniane affinché garantiscano procedimenti trasparenti ed equi, applichino una moratoria delle esecuzioni in pubblico, si adeguino alla Convenzione sui diritti dell‘infanzia (ratificata dall’Iran nel 1991) che proibisce le esecuzioni di minorenni al momento del reato e mettano fine alle pratiche discriminatorie nei confronti delle minoranze etniche e religiose.
Iran Human Rights esorta inoltre l‘ufficio Droga e criminalità delle Nazioni Unite e le nazioni che ne finanziano i progetti, a sospendere qualsiasi contributo, economico e non, ai programmi antidroga del governo iraniano, fino a quando non rinuncerà alla sua politica che prevede la pena di morte nei confronti dei detenuti accusati per reati di droga.
Fonte: http://lepersoneeladignita.corriere.it/2013/04/05/pena-di-morte-in-iran-nel-2012-e-stata-una-mattanza/
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