Rinviato a giudizio il poliziotto che sparò ed uccise Dino Budroni,
Rinvio a giudizio per omicidio colposo. A ridosso dei fatti i giornali parlarono di sparatoria sul Gra per depistare da un altro caso Sandri
Verso le 4.45, la Volante 10, quella dello sparatore, iniziò l'inseguimento. Beta Como della polizia e una gazzella dei carabinieri parteciparono all'operazione, "agganciando" la volante lungo il tragitto. Più o meno alle 5 del mattino la Focus era praticamente incastrata sulla destra della corsia del Gra. I carabinieri l'avevano sorpassata e s'erano messi di traverso, lo sportello di destra toccava appena la Focus che, a sua volta, ha toccato il guard rail. La macchina inseguita ha su un fianco il segno della gomma di un'inseguitrice.
Chi ha sparato sapeva che Dino aveva una pendenza per il possesso di una balestra (acquistabile ovunque) e di un fuciletto ad aria compressa. Per questo, così ha detto, ha tirato subito fuori la Beretta Parabellum affiancando la Focus verde mare. Giura che il braccio fosse perfettamente in asse con la ruota posteriore sinistra ma che la Focus provava a svicolare. Non ricorda quanto forte andasse e quanto tempo sia passato tra lo sparo e l'arresto dell'auto ma lui stesso ha dichiarato che Dino non era armato.
L'autista della Volante 10 dice che la Focus si fermò dopo i colpi, «essendo la sua corsa già notevolmente rallentata». La perizia dice che la Focus a bassissima velocità, si adagiava sul guardrail metallico posto oltre il margine destro della carreggiata. Infatti, il guardrail riportava un'abrasione superficiale compatibile non con un vero e proprio urto ma con una manovra di accostamento. Un segno di vernice, grande come un'unghia, sta ancora lì, a pochi metri dalla foto e dai fiori per Dino.
Uno dei due carabinieri ha detto all'incirca al pm Orano che, appena fermo ha sentito due colpi di pistola, però non avrebbe visto lo sparatore. Sceso con l'arma in mano, il carabiniere riesce a vedere Budroni immobile, avrebbe voluto alzare le mani in segno di resa ma s'è accasciato sul suo fianco destro.
I ricordi dei sei operatori non sono perfettamente sovrapponibili. Gli orari si accavallano e anche i nastri con le voci registrate dal centralino, secondo coloro che li hanno ascoltati, aumentano i dubbi su quell'alba di sangue piuttosto che chiarirli. Il carabiniere è sicuro di non aver visto armi ma sente dire che forse è stata trovata una pistola dai suoi colleghi, una scacciacani di cui i familiari non avevano mai sentito parlare. Stava davvero là? E' regolare? E' normale che non sia stata periziata? Dove e quando è morto Dino? Perché non ci sono sue foto nell'auto? Il rapporto del 118 dice che il «cadavere è stato prelevato», allora perché viene portato al Pronto soccorso del Pertini? Un testimone dirà al legale della famiglia, Michele Monaco, di averlo visto riverso sullo sterzo con le braccia penzoloni e l'ambulanza dietro, come se attendesse qualcuno. Ma gli orari non collimano con quelli della polizia, si tratterebbe di almeno dieci minuti prima. Il testimone imboccò la Roma-L'Aquila quella mattina, nessuno ha ancora verificato i suoi orari. Perché non sono stati mai acquisiti i filmati delle telecamere piazzate a pochi metri da quell'uscita del Gra? Perché solo 426 giorni dopo la famiglia apprende della scacciacani?
Alle quattro meno cinque, Budroni sente Fabrizio, il marito di Claudia, sua sorella: «Tranquilli, tra dieci minuti sto a casa». Uno scontrino nel portafogli restituito dai carabinieri suggerisce che Budroni aveva preso, alle 4.14, una birra in un bar del quartiere Nomentano, 4 chilometri oltre il luogo della morte. La notizia è che ventisette mesi dopo ci sarà un processo per porre tutte queste domande.
Fonte: popoff.globalist.it - tratto da osservatoriorepressione.org
di Checchino Antonini - popoff.globalist.it
Chi ha sparato a Dino Budroni subirà un processo a ottobre prossimo per omicidio colposo perché, secondo un pm, sparava a distanza ravvicinata quando ormai «l'utilizzo dell'arma, in quella fase dell'operazione, comportava un rischio non più proporzionato alla residua possibilità di azioni lesive e pericolose». Nessuno gli ordinò di sparare, nemmeno mirando alle ruote. L'agente scelto della polizia di stato era in aula stamattina a Piazzale Clodio quando è stato rinviato a giudizio e non ha chiesto scusa ai familari di Budroni, nemmeno una parola. Solo sguardi. Il suo difensore ha sostenuto più o meno che non ci sia altro da fare se non sparare in casi del genere.
Budroni, quarant'anni, è stato ucciso sul Grande raccordo anulare di Roma il 30 luglio 2011, all'alba di un sabato. Il proiettile calibro 9 lo ha trapassato dal fianco sinistro, perforando polmoni e cuore. E' successo al km 11, svincolo per Mentana. I giornali hanno titolato: "Sparatoria sul Gra" e "Inseguimento di uno stalker" per depistare da quello che si profila come un altro caso Sandri. In fase istruttoria il poliziotto che ha sparato ha detto che cercava Budroni dall'una meno un quarto. Dino era andato sotto l'abitazione della sua ragazza, a Cinecittà, a una ventina di chilometri da dove è morto. Fu un brutto caso di danneggiamento di porte e cancelli, di sms minacciosi e di disturbo della quiete pubblica, probabilmente. La donna andò a denunciarlo in commissariato.
Chi ha sparato a Dino Budroni subirà un processo a ottobre prossimo per omicidio colposo perché, secondo un pm, sparava a distanza ravvicinata quando ormai «l'utilizzo dell'arma, in quella fase dell'operazione, comportava un rischio non più proporzionato alla residua possibilità di azioni lesive e pericolose». Nessuno gli ordinò di sparare, nemmeno mirando alle ruote. L'agente scelto della polizia di stato era in aula stamattina a Piazzale Clodio quando è stato rinviato a giudizio e non ha chiesto scusa ai familari di Budroni, nemmeno una parola. Solo sguardi. Il suo difensore ha sostenuto più o meno che non ci sia altro da fare se non sparare in casi del genere.
Budroni, quarant'anni, è stato ucciso sul Grande raccordo anulare di Roma il 30 luglio 2011, all'alba di un sabato. Il proiettile calibro 9 lo ha trapassato dal fianco sinistro, perforando polmoni e cuore. E' successo al km 11, svincolo per Mentana. I giornali hanno titolato: "Sparatoria sul Gra" e "Inseguimento di uno stalker" per depistare da quello che si profila come un altro caso Sandri. In fase istruttoria il poliziotto che ha sparato ha detto che cercava Budroni dall'una meno un quarto. Dino era andato sotto l'abitazione della sua ragazza, a Cinecittà, a una ventina di chilometri da dove è morto. Fu un brutto caso di danneggiamento di porte e cancelli, di sms minacciosi e di disturbo della quiete pubblica, probabilmente. La donna andò a denunciarlo in commissariato.
Verso le 4.45, la Volante 10, quella dello sparatore, iniziò l'inseguimento. Beta Como della polizia e una gazzella dei carabinieri parteciparono all'operazione, "agganciando" la volante lungo il tragitto. Più o meno alle 5 del mattino la Focus era praticamente incastrata sulla destra della corsia del Gra. I carabinieri l'avevano sorpassata e s'erano messi di traverso, lo sportello di destra toccava appena la Focus che, a sua volta, ha toccato il guard rail. La macchina inseguita ha su un fianco il segno della gomma di un'inseguitrice.
Chi ha sparato sapeva che Dino aveva una pendenza per il possesso di una balestra (acquistabile ovunque) e di un fuciletto ad aria compressa. Per questo, così ha detto, ha tirato subito fuori la Beretta Parabellum affiancando la Focus verde mare. Giura che il braccio fosse perfettamente in asse con la ruota posteriore sinistra ma che la Focus provava a svicolare. Non ricorda quanto forte andasse e quanto tempo sia passato tra lo sparo e l'arresto dell'auto ma lui stesso ha dichiarato che Dino non era armato.
L'autista della Volante 10 dice che la Focus si fermò dopo i colpi, «essendo la sua corsa già notevolmente rallentata». La perizia dice che la Focus a bassissima velocità, si adagiava sul guardrail metallico posto oltre il margine destro della carreggiata. Infatti, il guardrail riportava un'abrasione superficiale compatibile non con un vero e proprio urto ma con una manovra di accostamento. Un segno di vernice, grande come un'unghia, sta ancora lì, a pochi metri dalla foto e dai fiori per Dino.
Uno dei due carabinieri ha detto all'incirca al pm Orano che, appena fermo ha sentito due colpi di pistola, però non avrebbe visto lo sparatore. Sceso con l'arma in mano, il carabiniere riesce a vedere Budroni immobile, avrebbe voluto alzare le mani in segno di resa ma s'è accasciato sul suo fianco destro.
I ricordi dei sei operatori non sono perfettamente sovrapponibili. Gli orari si accavallano e anche i nastri con le voci registrate dal centralino, secondo coloro che li hanno ascoltati, aumentano i dubbi su quell'alba di sangue piuttosto che chiarirli. Il carabiniere è sicuro di non aver visto armi ma sente dire che forse è stata trovata una pistola dai suoi colleghi, una scacciacani di cui i familiari non avevano mai sentito parlare. Stava davvero là? E' regolare? E' normale che non sia stata periziata? Dove e quando è morto Dino? Perché non ci sono sue foto nell'auto? Il rapporto del 118 dice che il «cadavere è stato prelevato», allora perché viene portato al Pronto soccorso del Pertini? Un testimone dirà al legale della famiglia, Michele Monaco, di averlo visto riverso sullo sterzo con le braccia penzoloni e l'ambulanza dietro, come se attendesse qualcuno. Ma gli orari non collimano con quelli della polizia, si tratterebbe di almeno dieci minuti prima. Il testimone imboccò la Roma-L'Aquila quella mattina, nessuno ha ancora verificato i suoi orari. Perché non sono stati mai acquisiti i filmati delle telecamere piazzate a pochi metri da quell'uscita del Gra? Perché solo 426 giorni dopo la famiglia apprende della scacciacani?
Alle quattro meno cinque, Budroni sente Fabrizio, il marito di Claudia, sua sorella: «Tranquilli, tra dieci minuti sto a casa». Uno scontrino nel portafogli restituito dai carabinieri suggerisce che Budroni aveva preso, alle 4.14, una birra in un bar del quartiere Nomentano, 4 chilometri oltre il luogo della morte. La notizia è che ventisette mesi dopo ci sarà un processo per porre tutte queste domande.
Fonte: popoff.globalist.it - tratto da osservatoriorepressione.org
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