Tutti i responsabili impuniti del massacro alla Diaz
L'organigramma che l'ha passata liscia dopo la macelleria messicana
Macellai messicani offresi. Dopo la sentenza della Cassazione sulla mattanza della democrazia avvenuta nella scuola Diaz e a Bolzaneto le responsabilità politiche e addirittura i nomi dei 400 poliziotti che parteciparono al blitz e come degli omaccioni con baffetti da sparviero hanno massacrato gente a terra e hanno fabbricato prove contro di loro rimangono ancora impuniti. Carlo Bonini su Repubblica ci elenca i nomi della catena di comando e ci racconta che fine hanno fatto:
In 11 anni, Claudio Scajola, in quei giorni dell’estate 2001 ministro dell’Interno, non ha mai ritenuto opportuno dover chiarire o riferire quali indicazioni politiche aveva fornito al capo della Polizia Gianni De Gennaro. Quali comunicazioni ebbe con lui la notte della Diaz e nei giorni successivi. Perché non ne chiese le dimissioni o perché non gli furono mai offerte. Né è stato mai di alcun aiuto lo stesso De Gennaro, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e già capo del Dis, il vertice della nostra intelligence.
In quel luglio del 2001, intervistato da Enrico Mentana, all’epoca direttore del Tg5, dice:
«La Diaz era una semplice operazione di identificazione che si è trasformata in un’azione di ordine pubblico perché gli agenti sono stati attaccati. Se ci sono stati eccessi da parte di singoli saranno verificati. Comunque non ci sono stati errori di valutazione o di comportamento collettivi ».
Nelle parole dell’allora capo della Polizia non c’è una sola circostanza vera, o anche soltanto verosimile, come il processo ha accertato. Del disastro genovese, osserva Bonini, nessuno sembra portare la paternità.
Anche Arnaldo La Barbera e Ansoino Andreassi, rispettivamente capo dell’Ucigos e vicecapo della Polizia e dunque vertice tecnicooperativo della catena di comando presente a Genova, sembrano, almeno all’inizio, un problema risolto. La Barbera, allontanato dall’Ucigos, viene nominato vicedirettore del Cesis. Andreassi transita al Sisde come numero due del generale Mori. Così come un problema che viene presto risolto è Vincenzo Canterini, il comandante del VII Nucleo, premiato con una ricca sinecura in Romania quale alto rappresentante dell’Interpol.
Ansoino Andreassi addirittura dichiarò pubblicamente che «la polizia italiana non si farà processare» e poi diventa teste dell’accusa. Accredita la circostanza di essere stato «commissariato» da La Barbera (un morto che non può difendersi) e di aver espresso il suo dissenso nella riunione in questura che precedette l’irruzione nella scuola:
Salvo, inspiegabilmente, non chiarire perché quel dissenso, a maggior ragione dopo gli esiti disastrosi di quella notte, non venne mai esplicitato nei giorni e nelle settimane successive. Altrettanto rapidamente si sfila e diventa teste di accusa il vicequestore Lorenzo Murgolo, che, quella notte, è il delegato dell’allora questore Francesco Colucci di fronte alla Diaz. Anche lui armeggia con Gratteri e Luperi intorno al sacchetto con le molotov portate all’interno della scuola. Ma ha più fortuna dei suoi colleghi. Il processo non lo coinvolge e la sua carriera prosegue nel Sismi di Nicolò Pollari.
Quattro ministri e uno stoccafisso come Fini che giocavano con il pinocchietto di Pinochet nella sala comandi esattamente come i generali nel Dottor Stranamore. E dopo la sentenza neanche una parola. In Italia è così: uno il coraggio non se lo può mica dare.
fonte: Giornalettismo
Macellai messicani offresi. Dopo la sentenza della Cassazione sulla mattanza della democrazia avvenuta nella scuola Diaz e a Bolzaneto le responsabilità politiche e addirittura i nomi dei 400 poliziotti che parteciparono al blitz e come degli omaccioni con baffetti da sparviero hanno massacrato gente a terra e hanno fabbricato prove contro di loro rimangono ancora impuniti. Carlo Bonini su Repubblica ci elenca i nomi della catena di comando e ci racconta che fine hanno fatto:
In 11 anni, Claudio Scajola, in quei giorni dell’estate 2001 ministro dell’Interno, non ha mai ritenuto opportuno dover chiarire o riferire quali indicazioni politiche aveva fornito al capo della Polizia Gianni De Gennaro. Quali comunicazioni ebbe con lui la notte della Diaz e nei giorni successivi. Perché non ne chiese le dimissioni o perché non gli furono mai offerte. Né è stato mai di alcun aiuto lo stesso De Gennaro, oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio e già capo del Dis, il vertice della nostra intelligence.
In quel luglio del 2001, intervistato da Enrico Mentana, all’epoca direttore del Tg5, dice:
«La Diaz era una semplice operazione di identificazione che si è trasformata in un’azione di ordine pubblico perché gli agenti sono stati attaccati. Se ci sono stati eccessi da parte di singoli saranno verificati. Comunque non ci sono stati errori di valutazione o di comportamento collettivi ».
Nelle parole dell’allora capo della Polizia non c’è una sola circostanza vera, o anche soltanto verosimile, come il processo ha accertato. Del disastro genovese, osserva Bonini, nessuno sembra portare la paternità.
Anche Arnaldo La Barbera e Ansoino Andreassi, rispettivamente capo dell’Ucigos e vicecapo della Polizia e dunque vertice tecnicooperativo della catena di comando presente a Genova, sembrano, almeno all’inizio, un problema risolto. La Barbera, allontanato dall’Ucigos, viene nominato vicedirettore del Cesis. Andreassi transita al Sisde come numero due del generale Mori. Così come un problema che viene presto risolto è Vincenzo Canterini, il comandante del VII Nucleo, premiato con una ricca sinecura in Romania quale alto rappresentante dell’Interpol.
Ansoino Andreassi addirittura dichiarò pubblicamente che «la polizia italiana non si farà processare» e poi diventa teste dell’accusa. Accredita la circostanza di essere stato «commissariato» da La Barbera (un morto che non può difendersi) e di aver espresso il suo dissenso nella riunione in questura che precedette l’irruzione nella scuola:
Salvo, inspiegabilmente, non chiarire perché quel dissenso, a maggior ragione dopo gli esiti disastrosi di quella notte, non venne mai esplicitato nei giorni e nelle settimane successive. Altrettanto rapidamente si sfila e diventa teste di accusa il vicequestore Lorenzo Murgolo, che, quella notte, è il delegato dell’allora questore Francesco Colucci di fronte alla Diaz. Anche lui armeggia con Gratteri e Luperi intorno al sacchetto con le molotov portate all’interno della scuola. Ma ha più fortuna dei suoi colleghi. Il processo non lo coinvolge e la sua carriera prosegue nel Sismi di Nicolò Pollari.
Quattro ministri e uno stoccafisso come Fini che giocavano con il pinocchietto di Pinochet nella sala comandi esattamente come i generali nel Dottor Stranamore. E dopo la sentenza neanche una parola. In Italia è così: uno il coraggio non se lo può mica dare.
fonte: Giornalettismo
Commenti