Gli "Statali d'oro", i dirigenti superpagati della pubblica amministrazione
Occhio, c'è statale e statale
di Stefano Livadiotti
Nella pubblica amministrazione ci sono dirigenti che prendono stipendi d'oro, centinaia di migliaia di euro l'anno (e qualcuno più di mezzo milione). Forse sarebbe il caso che la mitica 'spending review' iniziasse da lì
I nostri capi-travet guadagnano bene. La media, che "l'Espresso" ha calcolato sulla base del "Conto annuale 2010" della Ragioneria generale dello Stato, nasconde situazioni molto diverse. Ed è livellata verso il basso dai 20.374 dirigenti non medici del Servizio sanitario nazionale (64.654 euro a testa, sempre lordi) e dai 9.165 della scuola (66.677 euro). Tutti gli altri stanno molto meglio. Basta pensare che, in media, incassano il 49 per cento più dei loro pari-grado impiegati nelle aziende private. Prendiamo un dirigente ministeriale di prima fascia (sono 80). La sua busta-paga è un autentico rebus (nel 2007 i ricercatori dell'Ocse hanno ricostruito le retribuzioni pubbliche coreane e australiane, ma si sono arresi davanti alla complessità di quelle italiane). Alla fine si capisce però che si mette in tasca 50.556 euro di stipendio (compresa la cosiddetta indennità integrativa speciale), ai quali somma 2.990 euro di "Retribuzione individuale di anzianità" e altri 12.214 di tredicesima. Si arriva così a quello che i tecnici della Ragioneria chiamano "Totale voci stipendiali", che è però solo il 34,2 per cento dell'importo finale. Per arrivare al quale bisogna aggiungere 124.594 euro di "Indennità fisse" e 1.902 di "Altre accessorie". Alla fine, fa 192.256 euro lordi.
Una bella cifra, ma comunque molto al di sotto del misterioso tetto imposto dal governo alle retribuzioni pubbliche (sembra uno scherzo e invece è vero: a seconda di chi fa i calcoli, oscilla tra i 296 mila e i 305 mila euro). Gli alti papaveri dello Stato italiano (che secondo l'indagine dell'Ocse "Government at a glance 2011" sono i meglio pagati al mondo, con una media di 308 mila euro per i top manager) riescono addirittura a doppiarlo. In base all'incompleto elenco che il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi, ha consegnato alla fine di febbraio al Parlamento, il capo della Polizia, Antonio Manganelli, è il dirigente pubblico meglio pagato d'Italia, con 621.253 euro e 75 centesimi l'anno. A titolo di raffronto, Bernard Hogan-Howe, che non è un viandante ma il capo della Metropolitan Police di Londra, è fermo a quota 298 mila euro. Negli Stati Uniti, il capintesta dell'Fbi, Robert S. Mueller, ha uno stipendio base di 120 mila euro, che sale a 153 mila con le indennità. E in Spagna il direttore generale della Polizia non va oltre i 71 mila euro, meno dunque di un travet con i galloni di capo di seconda fascia e la scrivania a palazzo Chigi (73.783 euro).
I dirigenti pubblici italiani, insomma, non si possono davvero lamentare dei loro stipendi. Ma non è questo il punto. Più che a sforbiciarla, bisognerebbe riuscire ad agganciare la busta-paga di Manganelli alle statistiche sui reati commessi nel Paese e sui presunti responsabili assicurati alla giustizia. E su questo fronte siamo davvero indietro. Nella pubblica amministrazione la meritocrazia rimane una bestemmia. Perché, al di là delle tante parole in libertà, i sindacati, che hanno nei travet (e nei pensionati) il loro zoccolo duro, continuano a non volerne sapere. E il 68,08 per cento dei dirigenti pubblici ha in tasca la tessera con il logo di Cgil, Cisl o Uil (contro una media nazionale del 33,7 per cento), sigle con le quali spesso si crea un rapporto incestuoso: solo di recente ai capi del personale delle amministrazioni è stato vietato di assumere incarichi sindacali e di giocare così due parti in commedia (leggendaria è la vicenda del dirigente-sindacalista di palazzo Chigi la cui firma appariva due volte in calce ai contratti: nella casella del datore di lavoro e in quella della controparte). Il risultato è che a ogni passo avanti compiuto in direzione di un riconoscimento dei meriti individuali ne seguono almeno due indietro. Racconta Renato Brunetta, l'ex ministro della Funzione Pubblica che aveva introdotto sistemi di valutazione dei singoli dipendenti: «Patroni Griffi ha cercato di tornare al voto di merito attribuito agli uffici nel loro complesso. Tra l'altro, se fosse passata la sua linea, che subordinava ogni forma di mobilità alla concertazione con i sindacati, oggi Bondi avrebbe le mani legate».
La retribuzione annua dei dirigenti di prima e seconda fascia della pubblica amministrazione
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fonte: articolo e tabella da l'Espresso
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