Il leghista Fava ci riprova, nuovo ddl contro Internet
A gennaio l'onorevole leghista Gianni Fava è divenuto celebre alle cronache per aver presentato una legge che voleva uccidere la libertà del web: il cosiddetto "bavaglio in salsa leghista", fortunatamente respinto al mittente bipartisan. Ora l'on. Fava ci riprova! E' inconcepibile come nonostante la Lega Nord sia in caduta libera a causa degli scandali, questo deputato proponga leggi così impopolari, che certo non faranno aumentare i consensi a quel partito... EGREGIO ON. FAVA, MA DAVVERO LE NECESSITA' DELLA VOSTRA AMATA PADANIA SONO QUESTE?!?
Staff nocensura.com:
di seguito l'articolo di Guido Scorza per "Il Fatto Quotidiano"
A questo punto sembra diventata una questione personale.
L’On. Fava (Lega Nord), non demorde ed appare ogni giorno più deciso a cambiare – da solo o quasi – la disciplina italiana in materia di responsabilità online, a costo di rischiare – in modo irresponsabile – di imporre, nel nostro Paese, un regime liberticida che minaccia di assestate un duro colpo alla libertà di comunicazione attraverso il web.
Non è bastata la pioggia di bocciature bipartisan riservate a tutte le precedenti analoghe iniziative dell’Onorevole padano e non sono bastate le centinaia di migliaia di critiche raccolte online.
L’On. Fava – con una costanza e perseveranza che meritano ammirazione anche da parte di chi muova da convincimenti diametralmente opposti – ci riprova con una duplice iniziativa legislativa di chi, evidentemente, non vuole correre il rischio di essere bocciato ancora.
Accade così che nei giorni scorsi l’Onorevole abbia presentato in Parlamento – lo pubblica il corriere delle comunicazioni – un emendamento alla Legge Comunitaria 2012 [n.d.r. si tratta ormai di un’abitudine stagionale vista la bocciatura del suo precedente emendamento alla comunitaria 2011] e un nuovo disegno di legge AC 5224 recante “Modifica degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, in materia di responsabilità e di obblighi dei prestatori di servizi della società dell’informazione” che è, evidentemente, l’erede del suo precedente disegno di legge AC 4511, prematuramente scomparso perché ritirato dallo stesso Fava nei giorni scorsi.
Non si conosce ancora il contenuto del nuovo disegno di legge anche se appare probabile che sia il gemello dell’emendamento attraverso il quale, l’iperproduttivo Fava ha proposto di aggiungere un art. 7 bis alla legge comunitaria 2012.
Se così fosse, saremmo alle solite.
Le nuove norme sono, infatti, una versione edulcorata delle precedenti delle quali mantengono inalterata la sostanza, distinguendosene solo per un’apprezzabile riduzioni degli obblighi di filtraggio che, in passato, si era manifestata l’intenzione di imporre a tutti gli internet service provider italiani.
Qualcuno, probabilmente, deve aver spiegato all’On. Fava – che di diritto ed Europa mastica poco – che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha, ormai da parecchio, messo fuori legge qualsiasi ipotesi filtraggio in ossequio, peraltro, a quanto, sin dal 2000, disposto dalla disciplina Ue.
Leggermente meglio, dunque, ma sempre male, anzi malissimo.
Si continua a trattare di un ostinato ed irresponsabile attacco alla libertà di comunicazione attraverso il web.
Anche le nuove disposizioni, infatti, mirano a porre a carico dei provider e, in particolare, dei fornitori di hosting, l’obbligo di rimuovere qualsiasi contenuto segnalatogli da chicchessia – e non solo dall’Autorità giudiziaria – come illecito a pena, in caso contrario, di divenirne responsabile benché il contenuto in questione sia stato pubblicato da un utente.
Si è già detto decine di volte che, per questa via, si trasformano, di fatto, i provider in sceriffi e li si obbligano a rimuovere milioni di milioni di bit di contenuti sulla sola base di una segnalazione ed a prescindere da ogni effettivo giudizio sulla liceità o illiceità della pubblicazione, facendo così, carne da macello della libertà degli utenti di comunicare attraverso il web.
Quella che si vorrebbe introdurre nell’Ordinamento è un’inaccettabile forma di censura privata, una specie di “legittima difesa informativa” in nome della quale il provider viene autorizzato – ed anzi richiesto – di privare l’utente della libertà di parola per difendere sé stesso dal rischio di incorrere in pesanti responsabilità.
Ma non basta.
L’On. Fava che verso il famigerato SOPA statunitense ha mostrato, da sempre, grande ammirazione – probabilmente in ragione della coincidenza tra i mandanti politico-commerciali delle due iniziative legislative – ha, infatti, deciso di limitare l’esonero generale di responsabilità che la disciplina UE riconosce agli intermediari della comunicazione – proprio a tutela della libertà di informazione degli utenti della Rete – stabilendo che tale esonero non si applichi “al prestatore che metta a disposizione del destinatario dei suoi servizi…, o comunque fornisca o presti a suo favore, anche strumenti o servizi di carattere promozionale, ovvero adotti modalità di presentazione delle informazioni”.
Secondo l’On. Fava – proprio come secondo gli estensori del famigerato SOPA a stelle e strisce – dunque basterebbe che il fornitore di hosting venda spazi pubblicitari o organizzi la presentazione dei contenuti, per fare di lui un editore e chiamarlo a rispondere direttamente di ogni contenuto illecito pubblicato dai propri utenti.
Più o meno il contrario di quanto stabilito in numerose pronunce dalla Corte di Giustizia Ue sulla base dell’interpretazione di quella stessa Direttiva della quale, oggi, l’On. Fava vorrebbe riscrivere la disciplina nazionale di attuazione.
La Rete è di nuovo sotto assedio ed a guidare l’assedio è, ancora una volta, l’On. Fava anche se la crescente ostinazione e determinazione con la quale quest’ultimo conduce i suoi attacchi alla libertà di comunicazione online, sono la miglior conferma della circostanza che altri siano i mandanti ideologici e politici di tali attacchi.
Bisogna fermare questa minaccia, provare, ancora una volta, a spiegare all’On. Fava ed ai suoi mandanti che la libertà di comunicazione sul web non può essere esposta a rischio in nome della pure sacrosanta difesa dei diritti di proprietà intellettuale e soprattutto che – come dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio i dati sulle rimozioni pubblicati da Google nei giorni scorsi – l’ecosistema telematico sa darsi e rispettare regole capaci di garantire il contemperamento dei contrapposti interessi.
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