Bambini soldato, il reportage di Monica Maggioni, giornalista inviata in Uganda
Monica Maggioni testimonial AVSI in Nord Uganda
Reportage di Monica Maggioni
Giornalista, inviata TG1-RAI
Reportage di Monica Maggioni
Giornalista, inviata TG1-RAI
E' cominciato tutto una mattina di luglio del 2004, ero tornata in Italia da qualche giorno dopo due mesi passati in Iraq. Squilla il cellulare, dall'altra parte c'è Alberto Piatti, segretario generale di AVSI. "Senti Monica, fra qualche mese inizieremo una grande campagna si sensibilizzazione sul Nord Uganda in collaborazione con Echo, l'agenzia per gli aiuti umanitari dell'Unione Europea, racconteremo cosa fa AVSI da quelle parti con i suoi fondi. Pensiamo di realizzare un documentario e una serie di spot televisivi, per i quali ci darà una mano lo staff creativo dell'agenzia MacCann Erickson e che verranno poi mandati in onda questo inverno. Ci è venuta un'idea. Non è che tu ci faresti da testimonial?"
Non ho bisogno di rifletterci. "Ci sono!".
Due mesi dopo ero già seduta sull'aereo che mi stava portando a Kampala.
L'ultimo mio viaggio africano era stato cinque anni prima, nel Mozambico travolto dall'alluvione. Nella mia famiglia l'Africa l'abbiamo tutti nel cuore. Ho uno zio che ci ha trascorso quasi tutta la vita.
Non ho bisogno di rifletterci. "Ci sono!".
Due mesi dopo ero già seduta sull'aereo che mi stava portando a Kampala.
L'ultimo mio viaggio africano era stato cinque anni prima, nel Mozambico travolto dall'alluvione. Nella mia famiglia l'Africa l'abbiamo tutti nel cuore. Ho uno zio che ci ha trascorso quasi tutta la vita.
Da quando ero piccola ho imparato ad associare la parola viaggio con la parola Africa. Ogni volta che ci vado ho la sensazione del ritorno, mi sembra di sentirne persino più forte la mancanza. Essere in aereo e sapere che con Franco stiamo per atterrare a Kampala è proprio una bella sensazione. Franco, mio amico e collega, farà le immagini con le quali racconteremo la storia. Una parte della storia, perché l'altra parte ha già cominciato a raccontarla un po' di mesi fa Gian Micalessin, amico giornalista.
Alla fine ci troveremo tutti a mettere insieme i capitoli di questo racconto. Di questo giro dentro il Nord Uganda a seguire quello che AVSI fa da quelle parti.
All'aeroporto di Entebbe c'è Pippo Cianta, rappresentante AVSI a Kampala per l'intera Regione dei Grandi Laghi. Ci aspetta un enorme Toyota bianco, probabilmente la macchina più africana del mondo.
E' sera tardi, l'unica cosa di cui mi rendo conto è che sulle sponde del lago Vittoria vive un sacco di gente che la sera va in giro, si muove, sente la musica. Un cambiamento impressionante dopo l'Iraq. E mi ricordo di colpo che gli africani sorridono. Molto più di chiunque altro al mondo. Abbiamo solo una manciata di ore per stare con Pippo, sua moglie e i bimbi, da 20 anni in Africa. Alle 10 del mattino ci aspetta l'aereo per il nord. Destinazione: Kitgum.
L'Uganda vista da sopra è spettacolare, di un verde straordinario tagliato solo dalle strisce rosse delle strade di terra battuta nella vegetazione. E la pista di atterraggio non è diversa dal resto. Una spianata di terra in mezzo al verde.
Pietro arriva a recuperarci trafelato. "Scusate, sono in ritardo, non ho sentito il rumore dell'aereo". E' così che si vive da queste parti. L'aereo atterra quasi nel giardino di casa. Con Pietro, Filippo, Lucia e gli altri dobbiamo fare i piani di cosa andare a raccontare in questi giorni. Lo giuro mi sento un po' a disagio, il mio lavoro di solito non è quello di testimonial, ma di giornalista, eppure stavolta devo riuscire a fare tutte e due le cose. Non è facile spiegare a chi si occupa di "fare" che bisogna anche "raccontare", ma stavolta ce la faccio e da subito cominciamo a vedere cosa succede qui intorno.
Il campo che accoglie i bambini che sono riusciti a scappare dai ribelli è il primo choc vero. Arriviamo e ci guardano obbedienti, si presentano, ci presentiamo. Gli chiediamo di disegnare per noi e ancora una volta è l'orrore puro che esce dalle loro penne colorate. Eppure anche davanti alla telecamera raccontano, quasi fosse altro da loro quel ricordo mostruoso. Non è una cosa con cui è facile fare i conti. Avere davanti a te un bimbetto di nove anni che ti spiega come ha ucciso a bastonate un suo coetaneo perché altrimenti i ribelli avrebbero finito lui in quello stesso modo. Un bimbo di nove anni che ha dovuto uccidere per sopravvivere. Quelli che rimangono in un angolo sono i ragazzini arrivati per ultimi qui al centro di accoglienza. I loro occhi sono sfuggenti. Non incontrano mai gli sguardi, hanno la paura disegnata in ogni gesto. O il timore del giudizio?
Le giornate corrono veloci,ci infiliamo nei campi per gli sfollati. Capanne su capanne, nessuno spazio per vivere. Gli uni addosso agli altri. I ribelli là fuori hanno fatto questo. Rapiscono i ragazzini, costringono la gente a vivere ammassata in posti in cui nulla più della vita tradizionale può essere mantenuto. E chi è più fortunato e di giorno vive nel suo villaggio, scappa la notte. Come formiche sbucano da tutti gli angoli i bimbi al tramonto. Sulla testa hanno arrotolato il fagottino delle coperte per la notte. I genitori rimangono a casa, ad aspettare il mattino e pronti alla fuga in caso di attacco. I bimbi arrivano qui nel centro della città, alla missione, all'ospedale. AVSI costruisce per loro i rifugi. Poi prima di addormentarsi, Giorgio e sua moglie li fanno leggere. "E' un modo per far ritrovare loro un po' di vita normale" ci spiegano.
Nei campi c'è tutto da fare. Bisogna fare in modo che la gente si costruisca le latrine, ricominci a coltivare qualche pezzetto di terra. "Lo facciamo con loro, non gli diamo nulla di pronto, di distante dal loro modo di essere" - di questo lavorare con loro, costruire con loro, Pietro Galli, responsabile AVSI per i programmi di emergenza, ha fatto la sua stessa ragion d'essere. E' qui da anni. Ogni tanto corre in Sud Sudan per missioni durissime, cercando di dare aiuto a villaggi e popolazioni che da anni sono abbandonate al loro destino di guerra. Lavora dalla mattina alla sera, mi sembra felice.
Le confessioni più dure le sentiamo a Pajule, alla scuola per il recupero psicosociale degli ex ribelli già adulti. Ragazzi di diciassette, diciotto anni che raccontano con pudore dei traumi subiti, della difficoltà della vita normale. L'unica cosa che può cambiare la loro vita, ce lo ripetono di continuo, è proprio il fatto di venire qui a scuola. Ecco perché Lucia Castelli, medico, pediatra, team leader AVSI in Nord Uganda, insisteva tanto sull'istruzione. Aveva ragione lei. Loro, i bimbi, contano sul fatto di imparare un mestiere, di apprendere cose che possano rivalutarli agli occhi li lascia in disparte o li maltratta a causa del periodo passato con i ribelli.
E' l'ingiustizia più atroce. Anche quando sopravvivono e tornano a casa questi ragazzi continuano a essere vittime. La prima volta perché sono stati rapiti, strappati alle famiglie, torturati. La seconda adesso, accusati o additati come responsabili di crimini commessi loro malgrado. Quante volte hanno ripetuto che solo grazie ad AVSI e alla scuola sperano di ricominciare a vivere. E quelle erano le loro parole, la loro realtà. Io ero lì per fare uno spot. Loro no.
AVSI ringrazia la giornalista Monica Maggioni, inviata TG1-RAI, che ha offerto gratuitamente la sua professionalità e immagine per la realizzazione di un documentario sull'emergenza umanitaria in Nord Uganda e di una serie di spot televisivi trasmessi dai maggiori network internazionali, realizzati gratuitamente dall'agenzia McCann Erickson, grazie al contributo di ECHO, agenzia per gli aiuti umanitari dell'Unione Europea, e il patrocinio di Pubblicità Progresso.
fonte
Per maggiori info: www.mostrabambinisoldato.org
Commenti