Margherita, dieci anni di bilanci “segreti” nella gestione di Lusi e Rutelli
L'ex sindaco di Roma prometteva "trasparenza" nella destinazione di circa 20 milioni di euro rimasti nelle casse del partito che non esiste più dal 2007 (ma continua a ricevere "rimborsi elettorali"). Ma da Parisi a Neri, chi ha chiesto di vedere i conti si è scontrato contro un muro
Francesco Rutelli aveva promesso “massima trasparenza nella destinazione di fondi della Margherita”, un tesoretto di circa 20 milioni di euro, uscendo dall’assemblea federale del partito il 20 giugno 2011. Invece in questa storia di trasparenza non ce n’è affatto. Dall’inizio alla fine, con il tesoriere Luigi Lusi, attuale senatore del Pd, indagato per aver usato parte di quei soldi per fini privati, compreso l’acquisto di una casa nel centro di Roma. E passando per il fatto che la Margherita non esiste più come partito dal 2007, ma ha continuato a percepire rimborsi elettorali anche in questa legislatura, iniziata l’anno successivo, e fino al 2011.
A proposito di trasparenza, in quell’assemblea federale dell’estate scorsa a Roma non fu neppure possibile leggere con la dovuta attenzione una copia del bilancio del partito. E sui 398 aventi diritto, pare che la convocazione sia arrivata a non più una ventina di persone, tanto che su questo è in corso a un processo civile a Roma, seguito alla denuncia, tra gli altri, di Renzo Lusetti, Rino Piscitello, Enzo Carra e Gaspare Nuccio. Alla fine si presentarono appena una dozzina di esponenti del partito. E dire che l’ordine del giorno era allettante: l’assemblea doveva decidere proprio la destinazione di quella montagna di soldi. Sul tavolo c’era anche la proposta di distribuirli per il 50 per cento ai terremotati dell’Aquila e per l’altra metà ad associazioni come Emergency e Medici senza frontiere. Perché dal primo all’ultimo euro si trattava di fondi dello Stato, erogati come rimborsi elettorali, e non di quote del tesseramento o di donazioni private.
A proporlo era stato Luciano Neri, responsabile della Circoscrizione estero del partito, che oggi ricopre lo stesso incarico nel Partito democratico. “Chiesi di avere il bilancio, ma Lusi si oppose”, ricorda Neri. “Si inalberò, minacciò le dimissioni perché non ci fidavamo di lui. Alla fine fu possibile leggere una copia del bilancio messa a disposizione di tutti, ma per un tempo limitato, che rendeva impossibile un’analisi seria”. Francesco Rutelli è il presidente dell’ormai ex partito, Enzo Bianco è presidente dell’Assemblea. Nessuno dei due si spende per accogliere la richiesta di trasparenza. Chi vuole vederci chiaro è invece Arturo Parisi, attuale leader referendario. “Chiesi un approfondimento del bilancio”, afferma, “perché c’erano voci opache e ampie. Non votai il bilancio preventivo”, continua, “e l’assemblea fu sospesa finché non si decise la formazione di un organismo che approfondisse successivamente. Ma questo organismo non si è mai riunito”. Già intorno al 2003 Parisi se n’era andato sbattendo la porta dall’Ufficio di tesoreria del partito, perché non gli venivano forniti i documenti necessari a esercitare un vero controllo sui conti. Il tesoriere era sempre Lusi, il presidente era sempre Rutelli. Risultato, ancora oggi non si sa a quanto ammonti esattamente il patrimonio rimasto nelle casse del partito.
E perché un partito che non esiste più continua ad avere (e ricevere) denaro? Il primo motivo è che quando nacque il Pd, i due partiti fondatori scelsero la “separazione dei beni”. I Ds avevano un grande patrimonio immobiliare – la storica eredità del Pci – ma un indebitamento superiore ai 100 milioni di euro; la Margherita, pur discendendo dalla Democrazia cristiana, era meno ricca, ma aveva i conti in ordine. Insieme nella politica, separati nei patrimoni, fu la decisione finale.
Il secondo motivo sta nella legge sui rimborsi elettorali. I soldi pubblici, calcolati sula base dei consensi ottenuti alle urne, vengono erogati in più tranche. Fino al 2011, la Margherita ha ricevuto le somme relative alla legislatura del 2006, calcolata per intero nonostante sia durata solo due anni. Il che sarebbe logico se si trattasse di un vero rimborso delle spese elettorali, un po’ meno se si pensa che questo finanziamento multimilionario non ha alcun legame con i costi effettivamente sostenuti per conquistare seggi alle elezioni. Naturalmente lo stesso vale per altre formazioni estinte, come i Ds, Forza Italia, An, Rifondazione comunista. A loro vanno i finanziamenti per le vecchie elezioni, e contemporaneamente i loro figli – il Pd e il Pdl – li ricevono per le più recenti.
fonte: "Il Fatto Quotidiano"
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