La Whirpool licenzia 1.000 dipendenti in italia: ECCO QUELLO CHE NON DICONO...
La Whirpool viene fondata nel 1911 a St. Joseph, nel Michigan, dai fratelli Upton. Produce lavatrici, asciugatrici, frigoriferi, congelatori, lavastoviglie e forni a microonde, ed è presente nei mercati di tutto il mondo. Dal 2006, con l'acquisizione della Maytag Corporation, fino ad allora, sua principale concorrente nel mercato statunitense, Whirlpool è divenuto il maggior produttore mondiale di elettrodomestici. Nel 2008 ha fatturato 18.907 milioni di dollari (circa 14.181 milioni di Euro) con un utile netto di 418 milioni di dollari (313.507.942€). Nel 2008 il gruppo aveva un totale di circa 70.000 dipendenti, distribuiti nei vari stabilimenti presenti in varie parti del mondo. Whirpool è inclusa nella lista "Fortune 500", che raccoglie le 500 maggiori imprese societarie americane. Fonte: Wikipedia
E' di pochi giorni fa la notizia che Whirpool licenzierà 1.000 lavoratori in Italia. Si perderanno 600 posti di lavoro in provincia di Varese, dove si trova il centro strategico di Whirlpool Italia, 180 a Napoli, 120 a Siena e un centinaio a Trento. La notizia suscita sicuramente dispiacere, ma non certo stupore. E purtroppo, a giudicare da come si è mossa altrove, abbiamo il presentimento che non sia finita qui. Pezzo dopo pezzo, capannone dopo capannone, probabilmente nel giro di qualche anno chiuderanno tutti gli stabilimenti presenti in Italia e nelle altre nazioni "industrializzate" dove è attualmente presente . Non vogliamo coltivare pessimismo, e certamente non siamo "indovini". La nostra affermazione è la logica conseguenza degli "esiti" di una piccola ricerca che abbiamo condotto circa le strategie di questa multinazionale statunitense che vi illustriamo di seguito. Strategie che sono le stesse, a grandi linee, adottate da gran parte delle grandi multinazionali, Fiat compresa, ovviamente: visto che "a rate", ma inesorabilmente - "taglio dopo taglio", chiusura dopo chiusura, sta uscendo dal mercato italiano: un trend che sembra aver poco a che vedere con l'andamento delle vendite e del mercato.
«A fronte di un difficile momento economico caratterizzato da forte inflazione, contrazione della domanda, rincaro delle materie prime e calo delle vendite, con previsione di domanda molto debole per uno o due anni – si legge in una nota diffusa dall’azienda – si rendono necessari una serie di interventi di ristrutturazione e ridimensionamento della capacità produttiva e degli organici in linea con la realtà del mercato».
Certo, che il momento sia difficile, lo sappiamo tutti: e di questo dobbiamo ringraziare anche a quelle multinazionali - la maggioranza - che hanno "smontato" gli impianti produttivi presenti in Italia (in tutto l'occidente) per riaprirli in qualche nazione del "terzo mondo", alias "il paradiso delle multinazionali". Dove il costo della manodopera, la pressione fiscale e i vincoli sull'impatto ambientali sono particolarmente favorevoli.
I motivi della riduzione del personale sono davvero quelli descritti della nota dell'azienda, riportata sopra? Se dovessimo rispondere alla domanda in modo istintivo, superficiale, potremmo affermare che sono sicuramente plausibili. Ma dopo aver effettuato una breve ricerca sulle strategie di questa multinazionale, qualche dubbio ci viene.
Per esempio, non tutti sanno che la multinazionale statunitense degli elettrodomestici, in USA ha chiuso tutti gli stabilimenti produttivi già nel 2010 per trasferirli in Messico, dove la paga di un operaio è di circa 4$ all'ora, contro i 18$ che percepisce un lavoratore americano. L'ultimo stabilimento a cessare le attività in USA, è quello di Evansville: dove la chiusura di Whirpool ha rappresentato la chiusura dell'ultimo polo produttivo presente nella città: che è rimasta praticamente senza lavoro, con grande preoccupazione e indignazione dei cittadini.
Perché Whirpool dovrebbe chiudere gli impianti produttivi in USA - che è la "patria" della multinazionale - e mantenerli in Italia, dove il costo del lavoro è simile, e la pressione fiscale è persino più elevata?
La cosa drammatica è che molti cittadini credono ancora che quella in corso sia una "crisi passeggera", come quella del 1929, di cui sentiamo parlare spesso a sproposito. La crisi del 1929 infatti, aveva cause ben diverse rispetto alla situazione di depressione che si è venuta a creare oggi. Abbiamo perso milioni di posti di lavoro, e altrettanti ne perderemo: conseguenza diretta delle delocalizzazioni (l'azienda chiude e lascia senza lavoro i dipendenti) o conseguenza indiretta (a causa dell'elevato numero di lavoratori che diventano disoccupati - mentre i giovani non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro - crollano i consumi, condannando alla chiusura negozi e piccole imprese).
Ci hanno fatto credere - o meglio, lo hanno fatto credere a quella larga maggioranza di cittadini che considera vangelo tutto ciò che dicono le TV, i giornali e i politici - (che poi sono la stessa cosa, essendo tutti al soldo dei vari poteri forti nazionali, esteri e sovranazionali) che si trattasse di una situazione passeggera: altrimenti non avrebbero potuto farci accettare tranquillamente, per citarne una delle tante, che i governi che si sono susseguiti - tutti senza distinzioni tra destra sinistra etc - consentissero alle varie lobbies di andare a produrre nel terzo mondo un paio di scarpe al costo di 3€, salvo poi venderlo sui nostri mercati a un prezzo cinquanta volte superiore: come se il produttore avesse sostenuto le spese che avrebbe affrontato producendo in Italia...
Se chi chiudeva le fabbriche in Europa per produrre nel sud-est asiatico, in Africa o in Sud America avesse dovuto "lasciare alla frontiera" un salato dazio doganale per ogni prodotto importato, probabilmente oggi la situazione sarebbe ben diversa...
Purtroppo ai pochi economisti e "liberi pensatori" che dicevano queste cose vent'anni fa, non solo non veniva offerta alcuna visibilità: ma venivano pure considerati "pazzi" o "complottisti". Dopotutto, i potenti che gestiscono i mezzi di informazione certo non avevano certo alcun interesse nel fermare questo trend, visto che direttamente (andando in prima persona a produrre nel terzo mondo) o indirettamente (percependo cospicui finanziamenti da chi produce nel terzo mondo) avevano tutto l'interesse affinché il sistema proseguisse indisturbato...
Se pensate che la situazione sia drammatica, aspettate a dirlo: tra qualche anno, rimpiangeremo questi tempi...
staff nocensura.com
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E' di pochi giorni fa la notizia che Whirpool licenzierà 1.000 lavoratori in Italia. Si perderanno 600 posti di lavoro in provincia di Varese, dove si trova il centro strategico di Whirlpool Italia, 180 a Napoli, 120 a Siena e un centinaio a Trento. La notizia suscita sicuramente dispiacere, ma non certo stupore. E purtroppo, a giudicare da come si è mossa altrove, abbiamo il presentimento che non sia finita qui. Pezzo dopo pezzo, capannone dopo capannone, probabilmente nel giro di qualche anno chiuderanno tutti gli stabilimenti presenti in Italia e nelle altre nazioni "industrializzate" dove è attualmente presente . Non vogliamo coltivare pessimismo, e certamente non siamo "indovini". La nostra affermazione è la logica conseguenza degli "esiti" di una piccola ricerca che abbiamo condotto circa le strategie di questa multinazionale statunitense che vi illustriamo di seguito. Strategie che sono le stesse, a grandi linee, adottate da gran parte delle grandi multinazionali, Fiat compresa, ovviamente: visto che "a rate", ma inesorabilmente - "taglio dopo taglio", chiusura dopo chiusura, sta uscendo dal mercato italiano: un trend che sembra aver poco a che vedere con l'andamento delle vendite e del mercato.
«A fronte di un difficile momento economico caratterizzato da forte inflazione, contrazione della domanda, rincaro delle materie prime e calo delle vendite, con previsione di domanda molto debole per uno o due anni – si legge in una nota diffusa dall’azienda – si rendono necessari una serie di interventi di ristrutturazione e ridimensionamento della capacità produttiva e degli organici in linea con la realtà del mercato».
Certo, che il momento sia difficile, lo sappiamo tutti: e di questo dobbiamo ringraziare anche a quelle multinazionali - la maggioranza - che hanno "smontato" gli impianti produttivi presenti in Italia (in tutto l'occidente) per riaprirli in qualche nazione del "terzo mondo", alias "il paradiso delle multinazionali". Dove il costo della manodopera, la pressione fiscale e i vincoli sull'impatto ambientali sono particolarmente favorevoli.
I motivi della riduzione del personale sono davvero quelli descritti della nota dell'azienda, riportata sopra? Se dovessimo rispondere alla domanda in modo istintivo, superficiale, potremmo affermare che sono sicuramente plausibili. Ma dopo aver effettuato una breve ricerca sulle strategie di questa multinazionale, qualche dubbio ci viene.
Per esempio, non tutti sanno che la multinazionale statunitense degli elettrodomestici, in USA ha chiuso tutti gli stabilimenti produttivi già nel 2010 per trasferirli in Messico, dove la paga di un operaio è di circa 4$ all'ora, contro i 18$ che percepisce un lavoratore americano. L'ultimo stabilimento a cessare le attività in USA, è quello di Evansville: dove la chiusura di Whirpool ha rappresentato la chiusura dell'ultimo polo produttivo presente nella città: che è rimasta praticamente senza lavoro, con grande preoccupazione e indignazione dei cittadini.
Perché Whirpool dovrebbe chiudere gli impianti produttivi in USA - che è la "patria" della multinazionale - e mantenerli in Italia, dove il costo del lavoro è simile, e la pressione fiscale è persino più elevata?
La cosa drammatica è che molti cittadini credono ancora che quella in corso sia una "crisi passeggera", come quella del 1929, di cui sentiamo parlare spesso a sproposito. La crisi del 1929 infatti, aveva cause ben diverse rispetto alla situazione di depressione che si è venuta a creare oggi. Abbiamo perso milioni di posti di lavoro, e altrettanti ne perderemo: conseguenza diretta delle delocalizzazioni (l'azienda chiude e lascia senza lavoro i dipendenti) o conseguenza indiretta (a causa dell'elevato numero di lavoratori che diventano disoccupati - mentre i giovani non riescono a inserirsi nel mercato del lavoro - crollano i consumi, condannando alla chiusura negozi e piccole imprese).
Ci hanno fatto credere - o meglio, lo hanno fatto credere a quella larga maggioranza di cittadini che considera vangelo tutto ciò che dicono le TV, i giornali e i politici - (che poi sono la stessa cosa, essendo tutti al soldo dei vari poteri forti nazionali, esteri e sovranazionali) che si trattasse di una situazione passeggera: altrimenti non avrebbero potuto farci accettare tranquillamente, per citarne una delle tante, che i governi che si sono susseguiti - tutti senza distinzioni tra destra sinistra etc - consentissero alle varie lobbies di andare a produrre nel terzo mondo un paio di scarpe al costo di 3€, salvo poi venderlo sui nostri mercati a un prezzo cinquanta volte superiore: come se il produttore avesse sostenuto le spese che avrebbe affrontato producendo in Italia...
Se chi chiudeva le fabbriche in Europa per produrre nel sud-est asiatico, in Africa o in Sud America avesse dovuto "lasciare alla frontiera" un salato dazio doganale per ogni prodotto importato, probabilmente oggi la situazione sarebbe ben diversa...
Purtroppo ai pochi economisti e "liberi pensatori" che dicevano queste cose vent'anni fa, non solo non veniva offerta alcuna visibilità: ma venivano pure considerati "pazzi" o "complottisti". Dopotutto, i potenti che gestiscono i mezzi di informazione certo non avevano certo alcun interesse nel fermare questo trend, visto che direttamente (andando in prima persona a produrre nel terzo mondo) o indirettamente (percependo cospicui finanziamenti da chi produce nel terzo mondo) avevano tutto l'interesse affinché il sistema proseguisse indisturbato...
Se pensate che la situazione sia drammatica, aspettate a dirlo: tra qualche anno, rimpiangeremo questi tempi...
staff nocensura.com
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