Usa i precari ma poi non li paga: scatta lo sciopero all' "Unità"
Nuova tegola per l'editore Renato Soru. I collaboratori sono in rivolta: prendiamo solo 20 euro lordi ad articolo, ma gli assegni sono fermi da quattro mesi. Ma come, dopo tutte quelle copertine sui "ladri del nostro futuro" e sulla triste storia della "vita da precaria", cosa fanno?
Ma come, dopo tutte quelle copertine sui «ladri del nostro futuro», la triste storia di «Una vita da precaria» in prima pagina, gli indignados, quell’insolente di Brunetta che se la prende con i contrattisti a tempo, questa nobile difesa del lavoro co.co.pro svilito dalle aziende furbette, e poi che fanno? Tengono i precari a dieta, li pagano, quando li pagano, con mesi di ritardo, roba che nemmeno Brunetta si sognerebbe mai. E poi ti stupisci che quelli scioperano contro il quotidiano fondato da Gramsci ma sfondato dai suoi successori, dai direttori D’Alema e Veltroni (che hanno lasciato un bel po’ di vhs ma anche diversi milioni di debiti) fino a Renato Soru. Ma è strano, perché poi si leggono sull’Unità i commenti amari su «La difficile vecchiaia dei precari» (6 giugno scorso), le interviste alla Camusso («Precari, abbiamo sbagliato tutti è ora di dare loro un contratto», l’altro giorno), gli editoriali impegnati «Una generazione abbandonata», persino le lettere dei lettori contro Berlusconi perché sono pagati 3 euro l’ora...
Ecco, ora devono rispondere ad un’altra letterina, che gli arriva però dai collaboratori dell’Unità medesima, un pochino arrabbiati. Questi precari del giornalismo, una categoria che ha meno diritti dei venditori di rose cingalesi (ma non ditelo a Soru...), staranno in sciopero due giorni, come protestare contro la direzione del giornale Pd per la loro condizione di lavoro. «Una situazione che non siamo più disposti ad accettare» scrivono i collaboratori dell’Unità di Roma, Milano, Firenze e Bologna insieme ai corrispondenti regionali.
Merita leggere il resto, ricordandosi che non stanno scrivendo alla Gelmini, target fisso dell’Unità nelle battaglie (solo d’inchiostro) contro lo sfruttamento dei precari, ma alla direzione del giornale, affinché Nie, cioè l’editrice dello Steve Jobs alla bottarga Renato Soru, intenda (e soprattutto scucia qualche soldo e qualche diritto). «Innanzitutto il ritardo nei pagamenti: per la maggior parte di noi l’ultimo bonifico risale a giugno, e riguarda il compenso delle pubblicazioni di febbraio». Bei quattro mesi di attesa, peggio dei peggiori padroni. «Una situazione aggravata dalle spese che ci troviamo a sostenere relative al lavoro che forniamo a questo giornale. Tutto questo in un contesto di totale assenza di prospettive per i precari storici, anche a fronte di spazi che si sono aperti con i prepensionamenti. Abbiamo atteso con sacrificio, in nome di un’azienda che stimiamo e alla quale sentiamo di appartenere, la fine dello stato di crisi, sicuri che le condizioni finora mal sopportate sarebbero finalmente cessate. Con tutta evidenza così non è stato. I nostri assegni sono, invece, fermi a due anni fa, ridotti a una media di 20 euro lordi a pezzo. Così è ancora per le nostre prospettive, congelate sull’altare dell’attesa, in nome di un futuro migliore che non si scorge all’orizzonte».
Venti euro lordi a pezzo significa circa 15 euro per anche una giornata di lavoro, una miseria indegna, come sanno bene i titolisti dell’Unità, dopo anni di pezzi sullo scandalo del precariato. «Il nostro stato di esasperazione e la negazione dei nostri diritti non ci permette di sopportare oltre» scrivono i poveri collaboratori. Cui sarà sicuramente toccata la beffarda sorte di scrivere alcuni dei molti pezzi indignati contro il lavoro precario e il governo che non fa nulla. I diritti del lavoro sono sacrosanti, e vanno pagati. Meglio ancora se con i soldi degli altri.
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