La Germania si sta preparando ad uscire dall'Euro?
L’articolo di Olaf Henkel dell’edizione di oggi delFinancial Times sta facendo scalpore. D’accordo, Henkel è un uomo odioso, ma la mia opinione verso di lui – una volta lo ritenevo un tipico borderline – diventa col tempo piu positiva. I tedeschi volevano entrare in un’unione monetaria perché, con quell’accordo, si sarebbe rimossa l’arma del deprezzamento del tasso di cambio in mano ai paesi concorrenti. La disciplina di salari reali tedeschi, i miglioramenti della produttività del lavoro e l’innovazione non potevano essere spazzati via da un tratto di penna. Ricordiamoci che ci sono fondamentalmente tre Germanie:
Germania #1: la Bundesbank e il “finanzkapital“, che conserva enormi fobie sul ripetersi dell’iperinflazione stile Weimar e un credo quasi teologico nel “sound money” (ndt: una moneta che si appoggia su oro o argento, o altro che abbia un valore stabile). Si tratta della Germania degli entusiasti dell’oro fisico e degli economisti austriaci, che credono nella moneta forte, nelle politiche fiscali “responsabili”, e che erano fondamentalmente antitetici all’euro come grande unione allargata. Poi ci sono gli “Europeisti”, guidati da Kohl che essenzialmente riteneva di poter risolvere il “problema tedesco” legando più strettamente la Germania in una cornice pan-europea, di cui l’unione monetaria ne era parte fondamentale. Il voto indeciso era quello della Germania #3, la Germania industriale che fece sua l’ipotesi di un’unione monetaria proprio perché bloccava i concorrenti dell’industria tedesca a un tasso di cambio fisso e rimuoveva l’espediente della svalutazione.
A me sembra, comunque, che questo voto indeciso ha iniziato ad avere ripensamenti, visto che ha erroneamente considerato i “costi” che il paese deve sostenere per questi ripetuti salvataggi. Questa preoccupazione pare oltrepassare gli ovvi benefici di vedere come le nazioni “dissipatrici” del Mediterraneo acquistino più merci dalla Germania. È sconvolgente per me che Henkel, un grande protagonista del settore industriale tedesco, stia adesso guidando la cordata del ritiro dalla divisa. Ciò potrebbe indicare che sia avvenuto un cambio importante nella dinamica politica tedesca. I legislatori tedeschi potrebbero aver concluso che non ci sono tassi di cambio plausibili per il Neuro e lo Pseudo (o Soro?) che causerebbero problemi per il loro surplus delle partite correnti e la loro strategia basata sulla crescita delle esportazioni. O potrebbero aver deciso che la scelta “meno peggiore” visto i contraccolpi politici di nuovi prestiti per i sussidi a Grecia, Portogallo, eccetera.
L’altro punto è questo: le multinazionali non si preoccupano della provenienza della domanda fino a che aumenti in qualche luogo e che a loro sia permesso soddisfarla. L’arbitraggio del lavoro è come il cacio sui maccheroni. E quindi le politiche che realizzano squilibri insostenibili tra le nazioni e che hanno cattivi esiti sociali le soddisfano comunque fino a che gli venga permesso di girovagare liberamente nel globo per poter trarre vantaggio dalla domanda, ovunque essa si manifesti.
Questo probabilmente rimane vero fino a che il prezzo definitivo di queste politiche non venga condiviso con le multinazionali, sotto forma di tassazione o di norme aggiuntive. Fino ad ora alle multinazionali è andata benissimo per il fatto che i costi stanno calando in modo proporzionato rispetto a tutto il resto. Tutto potrebbe cambiare se venisse imposta una tassa di “solidarietà” sui profitti, invece che sulla popolazione.
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