“Se domenica morirò, avverrà in un Paese libero”



A 6 anni dalla fine della guerra civile il Sudan del Sud ottiene l’indipendenza. E’ il 193esimo Paese che aderisce all’Onu

Il Sudan del Sud si appresta ad ottenere l’indipendenza e a diventare il 54esimo stato africano. “Non ho mai creduto che il momento della libertà sarebbe arrivato”, dice al Guardian Charles Mamur, un abitante della nuova capitale sudista, Juba.
Il giornale britannico ha viaggiato tra la gente dell’area meridionale, entusiasta per il risultato raggiunto ed esausta per le lotte protrattesi per circa mezzo secolo. Mamur per le celebrazioni previste per domani indosserà una tuta nuova di zecca, mai indossata comprata due anni fa. Sabato 9 luglio 2011 è una delle grandi occasioni. “Se domenica morirò, avverrà in un Paese libero”, ripete la popolazione. Il momento della liberazione è arrivato. Tra poche ore, nell’afa di Juba, alla presenza del ministro degli Esteri britannico William Hague, e del segretario generale delle Nazioni UniteBan Ki-Moon, la vecchia bandiera del Sud si abbasserà. Sarà innalzata al cielo su un pennone di 32 metri, il più alto del continente, uno stendardo di sei metri per quattro, il vessillo della nuova nazione.
A sei anni dalla fine della più lunga – ed una delle più lunghe – guerra civile che l’Africa abbia mai conosciuto il Sudan sarà diviso in due. La Repubblica del Sudan meridionalesarà lo Stato numero 193 ad aderire all’Onu. Eccitazione, gioia e attesa travolgono un paese che in un referendum di inizio anno ha scelto col 99% dei voti la secessione all’unità. Dopo i festeggiamenti cominceranno le immense sfide. Ma solo da domenica. “Questo è il giorno per il quale siamo stati tutti in suspance”, ha detto Luka Loro, un ufficiale sanitario di 35 anni. Aggiungendo: “I nostri antenati hanno combattuto per questo momento dal 1955, ed ora lo abbiamo raggiunto”.

Alla vigilia della festa qualcuno indossa una t-shirt con la scritta “Mantieni Juba verde e pulita”, alcuni lavorano alle antenne per vedere in tv le storiche celebrazioni, altri intonano canzoni ed esclamano: “Siamo le persone più felici del mondo in questo momento”. L’entusiasmo è la reazione naturale all’oppressione della guerra civile. Le battaglie hanno sconvolto villaggio per villaggio man mano che avanzavano. L’istruzione di migliaia di giovani fermata all’improvviso. “Ora posso continuare”, esclama Eunice Aya, 22 anni. E’ una storia simile a quella di Mamur, l’uomo con la tuta, nato nel 1953, alla vigilia del conflitto. La sua istruzione era cominciata sotto un albero. E conclusasi a pochi anni di distanza. All’età di 10 anni video suo zio, l’insegnante, arrestato dalle forze del nord, fatto sfilare davanti ai suoi compaesani, poi ucciso. “Anche a quell’età un evento simile fa nascere la rabbia dentro”, commenta oggi. In tenera età, così mamur si unì alla ribellione, armato di fucile da caccia e coltello. Lo stesso fece suo fratello maggiore, presto ucciso in battaglia. Mamur combattè per sei anni, fin quando suo padre non lo convinse a riprendere gli studi a Juba. Daccapo.

Finì la scuola secondaria a 28 anni, nel 1981. La prima guerra civile era finita da quasi un decennio, ma un altro, acora più pericoloso conflitto, si stava preparando. Era il 1983 quando un gruppo di soldati del Sud, guidati dal colonnello americano John Garang, diedero vita ad una nuova ribellione contro il governo del nord, quello che costringeva i meridionali a studiare in arabo e che aveva continuato a sfruttare il sud. Mamur non riprese le armi, ma sostenne fortemente la casua del suo popolo. Contribuendo a reclutare uomini per le truppe di Garang. La sua Juba era una città di guarnigione controllata dalle forze del nord. Catturato per tre volte dai soldati di Khartoum, Mamur nel 1990 fuggì in Uganda con la moglie, poi in Kenya. Senza riuscire tuttavia a restare a lungo lontano dalla sua patria. Nel 1994 ritornò. In piena guerra. Cominciò a lavorare per un’agenzia di aiuti internazionali. Un decennio dopo, nel 2005, la fine delle ostilità. Il Sudan meridionale ce l’aveva fatta. Bashir e Garang firmarono l’accordo di pace che prevedeva un periodo intermedio di sei anni verso l’autonomia totale per il Sud, seguito da un voto per l’indipendenza. Momur tornò allora in Kenya a riprendersi moglie e due figlie che lo attendevano. Questo il nuovo inno del Paese.






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