L'altra faccia del WWF: "il patto con il panda"




Il WWF, dal 1961 simbolo del rispetto per l’ambiente e della protezione della fauna, nasconde un lato oscuro che è molto abile a dissimulare. La sua cooperazione con l’industria vale ben 500 milioni di euro l’anno, e contribuisce alla scomparsa della tigre in India e alla devastazione delle foreste nel Borneo.
Der Pakt mit dem Panda (Il patto con il panda), un documentario realizzato da Wilfried Huismann, è andato in onda poche settimane fa alla TV Tedesca. Davanti a 900.000 spettatori ha svelato la collusione del WWF con progetti imprenditoriali che contribuiscono a distruggere la natura, invece di preservarla come la sua immagine e la sua storia suggeriscono.
Kanha, India: qui il WWF organizza dei safari per ricchi occidentali, dove per 10.000 dollari garantisce l’emozione di un incontro con la tigre. Un percorso che si snoda nel folto della giungla scortati da guide locali, che seguono le tracce delle tigri a bordo strada fino a stanare gli ultimi esemplari sopravvissuti alla caccia selvaggia dei decenni passati.
Nazola, fotografa naturalista che ha lasciato Londra e un impiego alla HSBC per tornare nella sua terra d’origine, non pensa che tutta questa attenzione aiuti le tigri, e tanto meno le popolazioni locali. Le spedizioni organizzate dal WWF stanno rovinando l’habitat della tigre in nome del turismo sostenibile, “portando rumore e inquinamento nella foresta. Come possono sentirsi– si chiede Nazola – le tigri accerchiate da comitive di Jeep?”


Per sviluppare l’industria del turismo, il governo ha un piano per allontanare un milione di persone autoctone dalle aree che il WWF vuole votare alle sue esclusive gite turistiche, perché – secondo la valutazione del WWF – gli uomini che si sono presi cura della foresta per centinaia di anni e la tigre non possono coabitare.
Nel parco nazionale di Nagarhole una piccola comunità indigena di raccoglitori di miele si è opposta al trasferimento forzato, rifiutando l’offerta di un milione di rupie per lasciare la terra dove ha vissuto per generazioni in armonia con la natura. Il governo ha risposto al rifiuto dichiarando illegale la raccolta del miele, e il WWF li ha accusati di uccidere le tigri per vendere la pelle ai commercianti cinesi.
Chissà se tra gli itinerari turistici del WWF sarà incluso un tour fino al tempio che sorge nel cuore della foresta, dove gli indigeni venerano la tigre come una divinità.
Altra meta del reportage di Wilfried Huismann è l’Indonesia. Qui si produce olio di palma da utilizzare come biocombustibile, e i costi della coltivazione intensiva sono la distruzione della foresta tropicale primaria, lo sterminio della ricca fauna locale e lo smembramento delle comunità indigene.
Il WWF, favorevole alla produzione di biocombustibili, sostiene che la produzione sostenibile di olio di palma sia possibile, ma a giudicare dallo stato in cui versano i terreni dati in concessione all’industria non si direbbe proprio.  L’organizzazione ambientalista ha un accordo con la Wilmar, compagnia multinazionale tra i responsabili della devastazione nel Borneo per produrre olio di palma. Questa partnership, che giova all’immagine della Wilmar, non ha nessun impatto sui metodi di coltivazione della palma, che si traducono in deforestazione indiscriminata, inquinamento del terreno e delle acque a causa dell’impiego di milioni di litri di diserbante.
A Sembulu, uno degli ultimi villaggi superstiti nell’area in cui opera la Wilmar, i contadini non hanno smesso di sperare che il governo restituirà loro la terra espropriata. Prima gli abitanti di Sembulu vivevano grazie ai loro orti a ridosso della foresta. Adesso, dopo che i terreni sono stati dati in concessione alla Wilmar, alcuni degli abitanti del luogo hanno trovato impiego nell’industria dell’olio di palma, mentre gli altri sopravvivono a fatica grazie alla pesca. Ma anche quest’ultima fonte di sussistenza sta diventando impraticabile, perché le fabbriche che estraggono l’olio di palma riversano le sostanze chimiche utilizzate nelle acque uccidendo la fauna lacustre.
Baktran dal giorno in cui sono apparsi i bulldozer sì è opposto alla corporation, per 5 anni. “Questa è la terra dei miei antenati, hanno mandato anche i soldati per spaventarmi” dice. Ma lui e altri contadini si oppongono all’esproprio, rischiando la galera per abbattere le palme da olio che circondano i pochi orti rimasti.
Nel frattempo il WWF certifica come sostenibili le piantagioni che sorgono sui terreni concessi alla Wilmar attraverso la Roundtable on Sustainable Palm  Oil (RSPO). Come successo a Kalimantan, una piantagione sostenibile dove dei 14.500 ettari di foresta originari ne rimangono solo più 80, la popolazione di oranghi è stata sterminata, e i fiumi puzzano terribilmente a causa degli scarichi di lavorazione della palma.
Secondo Doerte Bieler, “responsabile biomasse” del WWF, la conservazione dello 0,5% della foresta originaria e la sopravvivenza di due oranghi in tutto costituisce un successo. “Se non ci fosse stato il WWF l’intera foresta sarebbe stata rasa al suolo”, sostiene.
Un altro successo, ma di tutt’altra specie è invece riscosso dalle compagnie che producono olio di palma, le quali riescono ad ottenere i finanziamenti europei per lo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili grazie alla certificazione rilasciata dalla RSPO.
In attesa che il documentario venga tradotto anche in italiano (o inglese) rimaniano in attesa di chiarimenti.



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Commenti

sarabrag ha detto…
Decisamente discutibile il documentario tedesco qui citato. Per una visione più completa sull'argomento suggerisco di leggere le risposte che lo stesso WWF da ad esempio qui http://www.greenme.it/informarsi/natura-a-biodiversita/5518-il-patto-con-il-panda-laltra-faccia-del-wwf

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