Italia: il Bel Paese del cemento
Sì, il Bel Paese è ogni anno di più il paese del cemento. L'ultimo rapporto sul consumo del suolo in Italia presentato pochi giorni fa dal Centro di Ricerca sui Consumi del Suolo (CRCS) - un progetto costituito da Legambiente e l’Istituto Nazionale di Urbanistica (INU), con la collaborazione del Dipartimento di Archiettura e Pianificazione del Politecnico di Milano - ci mette, infatti, davanti agli occhi un quadro allarmante che mostra un pesante sovraccarico urbanistico e un livello di crescita preoccupante soprattutto a discapito degli ambienti naturali.
“Nelle regioni Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Sardegna - sulle quali si incentra il rapporto basato su dati e metodi di misura prodotti da diversi istituzioni regionali - ogni anno assistiamo complessivamente alla cementificazione di circa 10 mila ettari di territorio, una superficie grande due volte la città di Brescia. Di questo suolo cancellato - ha spiegato il presidente INU, Federico Oliva - ben 5 mila ettari sono ambienti naturali, coperti da vegetazione spontanea”. Un dato, questo, che riguarda soprattutto la Sardegna, dove gran parte dei nuovi edifici sorge su aree coperte da vegetazione mediterranea, e in misura minore le province della Lombardia, che subiscono la perdita di preziose foreste collinari e di pianura agricola.
“Il rapporto restituisce un quadro del consumo di suolo agricolo e naturale che è avvenuto a velocità differenti, ma in modo sempre più disperso e pervasivo sul territorio - ha dichiarato Paolo Pileri del Politecnico di Milano, uno dei curatori dello studio -. Un dato è però molto chiaro, ad essere erose sono le risorse agricole e di biodiversità che costituiscono uno dei beni comuni più importanti, oltre ad essere un fattore competitivo nel rapporto con altri Paesi europei nei quali sono in atto da tempo politiche ambientali ed urbanistiche incisive contro il consumo di suolo”.
Ma il consumo di suolo non produce, solo ferite al paesaggio, ma una vera e propria " target="_blank">patologia del territorio, fino ad oggi sottovalutata, sia dalle politiche di controllo e prevenzione, sia dal necessario lavoro di monitoraggio e analisi, tanto che in Italia, se escludiamo il lavoro del CRCS, mancano stime nazionali attendibili e aggiornate circa la dimensione assunta dal consumo di suolo.
Uno degli effetti più rilevanti del consumo di suolo è la costante perdita di superfici “che sono la base produttiva dell'agroalimentare made in Italy”, ha aggiunto Oliva. Una tendenza impressionante per un Paese la cui immagine è così fortemente ancorata alla produzione agricola e che non può non diventare “una minaccia incombente sul nostro futuro produttivo, considerando che la filiera alimentare rappresenta il 15% del PIL nazionale e produce esportazioni nell’ordine dei 26 miliardi annui”.
“Solo in Lombardia - ha proseguito Eugenio Torchio, direttore della Coldiretti regionale - è come se sparissero ogni giorno i terreni di due medie aziende agricole”, tanto che le superfici arative sono diminuite di un quarto, e nelle province dell'area metropolitana lombarda la superficie urbanizzata ha già superato in estensione quella agricola. “Il dato è allarmante - ha denunciato il presidente di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine - ci stiamo giocando un patrimonio ambientale inestimabile, perdiamo la risorsa naturale più preziosa e su cui si costruisce gran parte della ricchezza della nostra regione”.
Ma è allarme anche per quanto riguarda le altre regioni d'Italia. Un rapporto Istat rileva una crescita preoccupante delle superifici edificate nell'Italia centro-meridionale (Marche, Molise, Puglia e Basilicata), mentre l'Università di Venezia afferma che in Veneto il 22 % del territorio della pianura in regione è già coperto di cemento, con gravissimi rischi idrogeologici. In Alto Adige il 28 % del territorio insediabile è già stato cementificato, mentre in Toscana la situazione è lievemente migliore, ma esistono fasce ad alta concentrazione urbana come l’asse Firenze, Livorno e la Versilia, con un indice medio di copertura del 7,4 %.
“Il territorio italiano si sta rapidamente metropolizzando - ha proseguito Oliva - Alla città tradizionale si sta sostituendo una nuova città nella quale accanto alla periferia si sono sviluppate aree a bassa densità sollecitate da motivazioni economiche e dalla ricerca di una miglior qualità della vita. Questa nuova città, in cui vive oltre il 60% dell’intera popolazione italiana, presenta una generale condizione di insostenibilità: per l’elevato consumo di suolo, per l’aumento del traffico motorizzato individuale che sollecita, per i nuovi squilibri e le nuove forme di congestione che determina, per la mancanza di spazio pubblico. Contenere la metropolizzazione del territorio e il crescente consumo di suolo deve dunque essere una priorità per le politiche territoriali del nostro Paese”.
Se in questi anni la mancanza di regole di tutela del suolo è stata alla base di gravi danni ambientali e costi sociali, ora per fronteggiare questo fenomeno, il gruppo delle organizzazioni fondatrici di CRCS propone una riforma normativa che stabilisca capisaldi giuridici per affermare lo status di “bene comune” per il suolo, e disincentivi l'urbanizzazione espansiva.
“Nella legislazione italiana, e in quella delle Regioni, mancano ancora regole efficaci sulle facoltà di trasformazione dei suoli - ha concluso Di Simine, - è questo che ci ha spinto a farci promotori di un progetto di legge popolare Metti un freno al cemento, costruisci natura, che introduce oneri a carico di chi, potendo riutilizzare aree dismesse della città, decida invece di costruire in aree aperte. Qualunque sia la politica che una regione attua per il governo del territorio, riteniamo irrinunciabile che essa sia confortata da un’attività di verifica e monitoraggio, oggi estremamente lacunosa, e questa è una delle ragioni che ci ha spinto ad impegnarci nell'elaborazione del rapporto”.
Insomma occorre quanto prima fare come negli altri paesi europei e attuare precise normative di tutela e di limiti alla crescita urbana. Esattamente il contrario di quanto adottato nell'ultimo decreto Milleproroghe.
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“Nelle regioni Lombardia, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Sardegna - sulle quali si incentra il rapporto basato su dati e metodi di misura prodotti da diversi istituzioni regionali - ogni anno assistiamo complessivamente alla cementificazione di circa 10 mila ettari di territorio, una superficie grande due volte la città di Brescia. Di questo suolo cancellato - ha spiegato il presidente INU, Federico Oliva - ben 5 mila ettari sono ambienti naturali, coperti da vegetazione spontanea”. Un dato, questo, che riguarda soprattutto la Sardegna, dove gran parte dei nuovi edifici sorge su aree coperte da vegetazione mediterranea, e in misura minore le province della Lombardia, che subiscono la perdita di preziose foreste collinari e di pianura agricola.
“Il rapporto restituisce un quadro del consumo di suolo agricolo e naturale che è avvenuto a velocità differenti, ma in modo sempre più disperso e pervasivo sul territorio - ha dichiarato Paolo Pileri del Politecnico di Milano, uno dei curatori dello studio -. Un dato è però molto chiaro, ad essere erose sono le risorse agricole e di biodiversità che costituiscono uno dei beni comuni più importanti, oltre ad essere un fattore competitivo nel rapporto con altri Paesi europei nei quali sono in atto da tempo politiche ambientali ed urbanistiche incisive contro il consumo di suolo”.
Ma il consumo di suolo non produce, solo ferite al paesaggio, ma una vera e propria " target="_blank">patologia del territorio, fino ad oggi sottovalutata, sia dalle politiche di controllo e prevenzione, sia dal necessario lavoro di monitoraggio e analisi, tanto che in Italia, se escludiamo il lavoro del CRCS, mancano stime nazionali attendibili e aggiornate circa la dimensione assunta dal consumo di suolo.
Uno degli effetti più rilevanti del consumo di suolo è la costante perdita di superfici “che sono la base produttiva dell'agroalimentare made in Italy”, ha aggiunto Oliva. Una tendenza impressionante per un Paese la cui immagine è così fortemente ancorata alla produzione agricola e che non può non diventare “una minaccia incombente sul nostro futuro produttivo, considerando che la filiera alimentare rappresenta il 15% del PIL nazionale e produce esportazioni nell’ordine dei 26 miliardi annui”.
“Solo in Lombardia - ha proseguito Eugenio Torchio, direttore della Coldiretti regionale - è come se sparissero ogni giorno i terreni di due medie aziende agricole”, tanto che le superfici arative sono diminuite di un quarto, e nelle province dell'area metropolitana lombarda la superficie urbanizzata ha già superato in estensione quella agricola. “Il dato è allarmante - ha denunciato il presidente di Legambiente Lombardia, Damiano Di Simine - ci stiamo giocando un patrimonio ambientale inestimabile, perdiamo la risorsa naturale più preziosa e su cui si costruisce gran parte della ricchezza della nostra regione”.
Ma è allarme anche per quanto riguarda le altre regioni d'Italia. Un rapporto Istat rileva una crescita preoccupante delle superifici edificate nell'Italia centro-meridionale (Marche, Molise, Puglia e Basilicata), mentre l'Università di Venezia afferma che in Veneto il 22 % del territorio della pianura in regione è già coperto di cemento, con gravissimi rischi idrogeologici. In Alto Adige il 28 % del territorio insediabile è già stato cementificato, mentre in Toscana la situazione è lievemente migliore, ma esistono fasce ad alta concentrazione urbana come l’asse Firenze, Livorno e la Versilia, con un indice medio di copertura del 7,4 %.
“Il territorio italiano si sta rapidamente metropolizzando - ha proseguito Oliva - Alla città tradizionale si sta sostituendo una nuova città nella quale accanto alla periferia si sono sviluppate aree a bassa densità sollecitate da motivazioni economiche e dalla ricerca di una miglior qualità della vita. Questa nuova città, in cui vive oltre il 60% dell’intera popolazione italiana, presenta una generale condizione di insostenibilità: per l’elevato consumo di suolo, per l’aumento del traffico motorizzato individuale che sollecita, per i nuovi squilibri e le nuove forme di congestione che determina, per la mancanza di spazio pubblico. Contenere la metropolizzazione del territorio e il crescente consumo di suolo deve dunque essere una priorità per le politiche territoriali del nostro Paese”.
Se in questi anni la mancanza di regole di tutela del suolo è stata alla base di gravi danni ambientali e costi sociali, ora per fronteggiare questo fenomeno, il gruppo delle organizzazioni fondatrici di CRCS propone una riforma normativa che stabilisca capisaldi giuridici per affermare lo status di “bene comune” per il suolo, e disincentivi l'urbanizzazione espansiva.
“Nella legislazione italiana, e in quella delle Regioni, mancano ancora regole efficaci sulle facoltà di trasformazione dei suoli - ha concluso Di Simine, - è questo che ci ha spinto a farci promotori di un progetto di legge popolare Metti un freno al cemento, costruisci natura, che introduce oneri a carico di chi, potendo riutilizzare aree dismesse della città, decida invece di costruire in aree aperte. Qualunque sia la politica che una regione attua per il governo del territorio, riteniamo irrinunciabile che essa sia confortata da un’attività di verifica e monitoraggio, oggi estremamente lacunosa, e questa è una delle ragioni che ci ha spinto ad impegnarci nell'elaborazione del rapporto”.
Insomma occorre quanto prima fare come negli altri paesi europei e attuare precise normative di tutela e di limiti alla crescita urbana. Esattamente il contrario di quanto adottato nell'ultimo decreto Milleproroghe.
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