Il consumo che ci divora
Facendo astrazione dalla situazione politica italiana e guardando alla stampa estera, il sistema di mercato così com’è stato codificato nel mondo occidentale sembra di fronte a un bivio. Da un lato, la crisi economica annunciata negli Stati Uniti nel 2007 con lo scoppio della bolla immobiliare (e finanziaria), divenuta crisi produttiva e mondiale in seguito al crollo di Lehman Brothers nel 2008 sembra essere molto lontana da una soluzione.
Dall’altro, il disastro ambientale di Fukushima con il pericolo della contaminazione nucleare, temibile conseguenza del terremoto e dello tsunami che hanno di recente colpito il Giappone, ha portato al centro del dibattito mondiale l’energia pulita e la sostenibilità ambientale dello sviluppo. In mezzo a queste due crisi sta il consumo tirato da una parte e dall’altra come un elastico da allungare senza fine.
Infatti, sembra essere opinione comune che il rilancio dei consumi sia la premessa fondamentale per superare la crisi economica, ma sono quegli stessi consumi che per essere soddisfatti richiedono l’utilizzo sempre maggiore di materie prime e energia: stretti in questa morsa come si può guardare al futuro? Serge Latouche, economista e filosofo francese, a tutti gli effetti un opinion leader dell’altro mondo possibile, nel suo ultimo libro "Come si esce dalla società dei consumi - Corsi e percorsi della decrescita" sostiene che non esiste crescita economica compatibile con la sopravvivenza del pianeta. La sua soluzione si chiama decrescita, o meglio a-crescita. La decrescita non è una teoria ma una matrice di possibilità per uscire dal circolo vizioso della crescita e del sovra-consumo.
La fortuna di questa espressione nel recente dibattito sulle sorti del nostro pianeta è in parte dovuta ad un’operazione di semplificazione di questioni economiche in genere incomprensibili per i non addetti ai lavori, pratica questa che gli ha attirato più di una critica.
L’analisi di Latouche, che s’ispira, tra gli altri, anche ai rapporti del Club di Roma e al subcomandante Marcos, parte da un presupposto condiviso da molti oggi: “La società dei consumi di massa globalizzata è arrivata in fondo al vicolo cieco. E’ una società che ha la sua base - anzi la sua essenza - nella crescita senza limiti, mentre i dati fisici, geologici e biologici le impediscono di proseguire su quella strada, data la finitezza del pianeta”.
Al centro di questo contrasto sta il consumo, o meglio la forma che il consumo ha assunto nelle società di mercato occidentali. Secondo Latouche, questa società si codifica definitivamente negli anni cinquanta con l’istituzionalizzazione di tre principi cardine: la pubblicità, che alimenta senza sosta il desiderio di consumare, il credito, che propone i mezzi per consumare anche a chi non potrebbe, e forse non dovrebbe, permetterselo, e l’obsolescenza programmata, che assicura il rinnovamento obbligato della domanda.
Questo circolo globalizzato consumo-crescita non è in grado di convivere con la sopravvivenza del pianeta e del genere umano dal momento che si basa “essenzialmente sul prelievo dalle fonti energetiche fossili e le risorse non rinnovabili, sui rifiuti e l’inquinamento: è in sostanza una crescita di distruzione del nostro ecosistema”. Gli specialisti definiscono questo veloce processo di diminuzione della biodiversità vegetale e animale la “sesta estinzione”, dove la quinta è stata l’estinzione dei dinosauri.
L’a-crescita come liberazione dalla religione della crescita, è innanzitutto una posizione politica anti-imperialista per una resistenza al “rullo compressore dell’occidentalizzazione del mondo”.
Ma Latouche si spinge più in là rispetto al diffuso ragionamento sui danni e le disuguaglianze provocate dalla globalizzazione occidentale, delineando un’interessante critica alla moda dello sviluppo sostenibile come fittizia soluzione di compromesso non adeguata alla gravità della situazione.
Lo sviluppo sostenibile in questa lettura resta intrappolato in una concezione economica occidentale e non è che una retorica dell’uomo bianco dai buoni sentimenti dalla quale sono escluse nel merito le popolazioni del sud del mondo. Secondo il pensiero della decrescita, l’unica via è abbandonare la religione dello sviluppo tout court.
Come fare? La matrice della decrescita non è una teoria valida per tutti i luoghi e tutti i popoli, ma offre degli spunti da cui partire come l’autolimitazione e la sobrietà, il recupero della dimensione locale e relazionale del consumo. Latouche auspica un cambio di prospettiva come scelta e non come imposizione che liberi l’uomo dal bisogno e dal troppo lavoro. I principi su cui lavorare sono le otto R: Rivalutare, Riconcettualizzare, Ristrutturare. Rilocalizzare, Ridistribuire, Ridurre, Riutilizzare, Ricilare.
Attraverso questo Ripensamento, si propone un nuovo socialismo ecologico per la liberazione dall’ossessione del consumo che possa farci superare l’impasse in cui ci troviamo: la decrescita è utopia o concreta speranza per il futuro?
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