Brescia: sposò una 13enne, marito condannato a 4 anni
Quando l’età è inferiore ai 14 anni il consenso a un rapporto sessuale non viene ritenuto consapevole. Per il caso della "sposa bambina" bastano due sole udienze alla Corte d'Assise per la condanna
Violenza sessuale, ma non riduzione in schiavitù. Il processo, in Tribunale, per il secondo caso bresciano di “sposa bambina”, si conclude così. Sono bastate due udienze, alla corte d’Assise di Brescia, per la sentenza che, pur con pene diverse, è in sintonia con gli ultimi sviluppi giudiziari dell’altro caso bresciano. Due settimane fa, infatti, in Appello sono state ridotte drasticamente le pene a cui erano stati condannati due coniugi rom e il figlio che aveva avuto una bambina da una tredicenne. In secondo grado, a differenza del primo, non era stato riconosciuto, tra i reati, la riduzione in schiavitù.
Nulla da dire, invece, anche da parte della difesa quanto alla violenza sessuale. Quando l’età è inferiore ai 14 anni il consenso a un rapporto sessuale non viene ritenuto consapevole. Così i genitori vennero condannati a 2 anni e 4 mesi e il figlio a 1 anno e 9 mesi. Ieri le pene, per madre e figlio sono state più pesanti. Ma rispetto al primo caso si trattava di un processo in dibattimento e non con rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della pena. La madre è stata condannata a 4 anni e 4 mesi di carcere, il figlio a 4 anni. Il pm Silvia Bonardi, contestando, anche in questo caso, la riduzione in schiavitù, aveva chiesto che l’uomo venisse condannato a 8 anni e la madre a uno di meno.
La Squadra Mobile della Questura di Brescia scoprì questo secondo caso ancora una volta attraverso segnalazioni dei sanitari. La bambina e la “suocera” erano state in ospedale perché lo “sposo”, aveva una malattia contagiosa. Si volevano chiarimenti sui rischi di contagio poiché c’erano già stati rapporti sessuali. La bambina venne sottoposta alle terapie di profilassi che poi si rivelarono efficaci, ma la situazione venne anche segnalata alla polizia che successivamente arrestò madre e figlio. Prima del processo sia il Riesame che la Cassazione hanno accolto le tesi difensive, ritenendo non susssistere i presupposti per la custodia cautelare. Ora la ragazza è tornata in Romania. "Anche stavolta — ha commentato l’avvocato Vincenzo Trommaco, legale dei due imputati — si è dimostrato che non sussiste il reato di riduzione in schiavitù. Bisogna sempre dimostrare una situazione di approfittamento. Certo, i casi di “sposa bambina” possono essere molti nei campi nomadi. Ma bisogna anche cercare di non essere ipocriti quando si parla di rapporti sessuali da parte di ragazze che hanno meno di 14 anni".
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Violenza sessuale, ma non riduzione in schiavitù. Il processo, in Tribunale, per il secondo caso bresciano di “sposa bambina”, si conclude così. Sono bastate due udienze, alla corte d’Assise di Brescia, per la sentenza che, pur con pene diverse, è in sintonia con gli ultimi sviluppi giudiziari dell’altro caso bresciano. Due settimane fa, infatti, in Appello sono state ridotte drasticamente le pene a cui erano stati condannati due coniugi rom e il figlio che aveva avuto una bambina da una tredicenne. In secondo grado, a differenza del primo, non era stato riconosciuto, tra i reati, la riduzione in schiavitù.
Nulla da dire, invece, anche da parte della difesa quanto alla violenza sessuale. Quando l’età è inferiore ai 14 anni il consenso a un rapporto sessuale non viene ritenuto consapevole. Così i genitori vennero condannati a 2 anni e 4 mesi e il figlio a 1 anno e 9 mesi. Ieri le pene, per madre e figlio sono state più pesanti. Ma rispetto al primo caso si trattava di un processo in dibattimento e non con rito abbreviato che prevede lo sconto di un terzo della pena. La madre è stata condannata a 4 anni e 4 mesi di carcere, il figlio a 4 anni. Il pm Silvia Bonardi, contestando, anche in questo caso, la riduzione in schiavitù, aveva chiesto che l’uomo venisse condannato a 8 anni e la madre a uno di meno.
La Squadra Mobile della Questura di Brescia scoprì questo secondo caso ancora una volta attraverso segnalazioni dei sanitari. La bambina e la “suocera” erano state in ospedale perché lo “sposo”, aveva una malattia contagiosa. Si volevano chiarimenti sui rischi di contagio poiché c’erano già stati rapporti sessuali. La bambina venne sottoposta alle terapie di profilassi che poi si rivelarono efficaci, ma la situazione venne anche segnalata alla polizia che successivamente arrestò madre e figlio. Prima del processo sia il Riesame che la Cassazione hanno accolto le tesi difensive, ritenendo non susssistere i presupposti per la custodia cautelare. Ora la ragazza è tornata in Romania. "Anche stavolta — ha commentato l’avvocato Vincenzo Trommaco, legale dei due imputati — si è dimostrato che non sussiste il reato di riduzione in schiavitù. Bisogna sempre dimostrare una situazione di approfittamento. Certo, i casi di “sposa bambina” possono essere molti nei campi nomadi. Ma bisogna anche cercare di non essere ipocriti quando si parla di rapporti sessuali da parte di ragazze che hanno meno di 14 anni".
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