Quanto costa ai conti pubblici il radicale Marco Beltrandi
Recidivo lo è, perché già nel marzo del 2010 fu autore, in Commissione vigilanza della Rai, di quella norma sulla par condicio che permise al direttore generale Mauro Masi di sospendere le trasmissioni di approfondimento politico per 40 giorni. Una trovata geniale per consentire al direttore berlusconiano di sospendere trasmissioni sgradite come “Ballarò” e “Annozero”. Nei giorni scorsi ha compiuto un altro capolavoro, votando con la maggioranza e affossando la mozione che chiedeva l’election day, cioè l’accorpamento del voto amministrativo e quello referendario. Costo della rinuncia: oltre 300 milioni di euro.
Ma anche la sospensione dei talk-show nel 2010 costò svariati milioni alla Rai (per mancata pubblicità) e quindi ai contribuenti. Ed allora ci si chiede: perché questi soldi non ce li mette il geniale Beltrandi?
Il suo nome è Marco Beltrandi, 42 anni, bolognese, impegnato con il partito radicale, nel 2008 è riuscito a farsi eleggere nelle liste del Pd. Un molto distratto Walter Veltroni ha candidato gente come lui e come Massimo Calearo, in lizza per diventare un ossequioso membro del governo. Complessivamente, 21 parlamentari del Pd hanno cambiato casacca: una vera e propria fuga. Alcuni di loro – insieme ai casi oramai arcinoti dei deputati dell’Idv – sono finiti a questuare posti nel governo della destra (come Calearo, appunto), altri non si presentano nelle votazioni cruciali (come nel caso della mozione sull’election day, che ha registrato ben dieci assenze fra i democratici) ed altri, come Beltrandi, addirittura votano con la maggioranza.
Un risultato non certo glorioso per il partito di Bersani. Forse sarà il caso che le prossime liste siano scelte con più intelligenza. Ammesso che ciò sia possibile.
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