Crisi, la lezione svedese
Nel discusso incontro annuale del World Economic Forum a Davos, la Svezia ha dato lezioni di finanza e di economia. L'esperienza portata dal Primo ministro Fredrik Reinfeldtha dimostrato che è possibile trascinare un paese fuori dalla crisi in maniera etica.
Non è mera propaganda politica l'annuncio che la Svezia sia uscita da una delle più gravi recessioni a livello planetario. Stoccolma rappresenta indubbiamente un modello che deve essere studiato dagli altri governi. È vero, il Paese scandinavo non rientra nell'eurozona dal momento che un referendum popolare sancì la permanenza della Corona che adesso vanta un'invidiale stabilità sul mercato monetario.
Differentemente da quanto accaduto nel resto del mondo, il governo svedese non ha dato un solo centesimo dei contribuenti alle banche o alle aziende in crisi non competitive: il concetto di Tbtf, Too big to fail (azienda troppo grande per lasciarla fallire) non esiste. Invece di utilizzare i soldi dei contribuenti per colmare i buchi delle aziende e le perdite industriali, il governo svedese ha spostato tutti gli investimenti in ricerca e sviluppo. La scelta è caduta sulla salvaguardia del lavoro - vero elemento di stabilità - più che su un effimero ripianamento dei debiti privati.
Altrove, i governi cercavano misure per arginare le perdite per riparare errori verificatisi nel passato; a Stoccolma si pensava al futuro, si investiva per ciò che doveva avvenire e ridurre al minimo i costi di una nuova eventuale crisi. A proposito di crisi che verranno (si tratta solo di "quando" non certo di "se"), la Svezia - che ha imparato la lezione agli inizi degli anni '90 quando il sistema bancario nazionale fu colpito nel profondo - ha istituito una "tassa di stabilità" a carico delle banche: un contributo su base annua versato dagli istituti di credito e finanziari per la formazione di un fondo gestito da un'agenzia governativa che ha lo scopo di "salvare" le banche da una futura recessione. In questo modo il governo non dovrà accollarsi titoli tossici - che cadrebbero sulle spalle dei contribuenti - ma sarebbero le banche stesse a pagare il proprio "salvataggio".
L'anno che si è appena concluso ha fatto segnare una decisiva crescita alla Svezia, nonostante le pessime premesse. Il documento programmatico di budget per il 2010fissava quattro punti cardine: fermare la disoccupazione, difendere il sistema delwelfare nazionale, incoraggiare l'avvio di nuove imprese e lo sviluppo di quelle esistenti, proteggere l'ambiente. (A chi non piacerebbe un documento del genere?). I risultati raggiunti nel 2010 hanno posto le basi perché si possa prevedere una crescita dell'economia svedese pari al 4,5 per cento per il 2011 e di un ulteriore 2,8 per cento per il 2012. Ladisoccupazione dovrebbe scendere sotto la soglia del 7 per cento a fronte di un incremento (accettabile) del tasso inflattivo di 0,3 punti percentuali (dal 2,7 al 3) che consentirebbe di raggiungere il 4 per cento di disoccupazione entro il 2014.
Le schema da cui partiva il governo di Stoccolma era rigido e al tempo stesso semplice:anche in profonda recessione, i servizi di assistenza sociale, sanitaria - così come il sistema giudiziario - devono essere garantiti. Anziché dare soldi alle banche, il governo ha stanziato fondi di una certa consistenza per i comuni così da assicurare un'eccellente sistema scolastico e un supporto agli anziani (che più degli altri risentono della crisi)riducendo le tasse sulle pensioni.
Ovviamente, non si può essere certi che la ricetta svedese sia applicabile a tutti i paesi. Ma la Svezia ce l'ha fatta e, a quanto pare, nel modo migliore per i propri cittadini senza ricorrere a manovre occulte.
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