Operatori sociali in lotta a Napoli, senza soldi né legge
Tre mesi di proteste, l'ex manicomio Leonardo Bianchi occupato e continuando a lavorare nell'ambito del disagio psichico, pagamenti dagli enti pubblici fermi a 34 mesi fa. Venerdì sit in di protesta al Teatro San Carlo per l'inaugurazione della stagione lirica, mente la polizia in assetto antisommossa esibisce i manganelli. Stefano Sorvillo, 48 anni, operatore sociale della cooperativa Il Calderone, viene ricoverato d'urgenza al Cardarelli per un infarto, solo stasera si saprà se si può sciogliere la prognosi. A Napoli si rischia la vita se lavori o se lotti per continuare a farlo.
Circa 200 cooperative e associazioni campane per 20mila operatori sociali, 7mila solo a Napoli, vantano un credito con enti locali e Asl di 500 milioni di euro, un centinaio solo con Palazzo San Giacomo. Strozzati dai debiti con le banche, venerdì hanno vissuto l'ennesima beffa. Convocati nel pomeriggio in Regione, hanno atteso più di un'ora per sentirsi dire dal capo di gabinetto del governatore che i 12milioni di euro fermi nelle casse, che Palazzo Santa Lucia deve al comune di Napoli, non possono essere sbloccati per divergenze burocratiche con l'amministrazione municipale.
«Qualunque sia il dissenso sulla rendicontazione - precisa l'assessore comunale alle Politiche sociali, Giulio Riccio - la regione ci riconosca la quota che ci spetta della legge 328, assegnataci dallo stato. Poi ci sono gli organi competenti per risolvere il contenzioso amministrativo».
Una cifra che, per quanto minima rispetto ai crediti totali, permetterebbe di evitare la chiusura dei servizi entro la fine di questo mese. «Venerdì non si potevano sbloccare i fondi che ci sono dovuti - spiega Sergio D'Angelo, portavoce del comitato "Il welfare non è un lusso" -, il giorno dopo però ci comunicano la disponibilità ad avviare il tavolo per la cassa integrazione, una misura che costerebbe alla collettività molto di più dei 12milioni del fondo sociale nazionale e di quello sulla non autosufficienza che trattengono per interessi politici». Il disegno ormai appare chiaro: prima la giunta Caldoro ha convertito l'assessorato alle Politiche sociali in Assistenza sociale, poi ha cancellato il reddito di cittadinanza e adesso prova a chiudere i servizi (assistenza ad anziani, minori, migranti, disabili, tossicodipendenti, disagio mentale, contrasto alla prostituzione...) strozzando le strutture, che potranno poi essere sostituite da soggetti privati per chi può pagare o dall'associazionismo cattolico.
Ieri pomeriggio gli operatori erano di nuovo in strada a manifestare, questa volta distribuendo volantini in italiano, inglese e francese ai turisti dell'hotel Vesuvio, arrampicandosi fin sul tetto, in attesa che i cittadini che ususfruiscono dei loro servizi si sveglino e scendano in piazza a sostenerli: «Non è con il contentino della cassa integrazione che ci faranno stare zitti - prosegue D'Angelo -. La regione e il comune dichiarino lo stato di crisi e facciano intervenire lo stato, come in caso di calamità naturale». Che ci siano gli estremi per la calamità naturale lo dicono i dati. La Campania ha la spesa media sociale pro capite più bassa d'Italia, con circa 33 euro a fronte dei 344 euro della Valle d'Aosta e una media al sud di 65 euro. Si contano circa 630 mila anziani non autosufficienti, 25 mila tossicodipendenti, 156 mila disabili, 46 mila sofferenti psichici e il più elevato tasso di disoccupazione giovanile in Europa. Oltre il 28% delle famiglie è al di sotto della soglia di povertà, circa una su quattro non riesce a pagare nemmeno le spese mediche.
Fonte: Adriana Pollice - il manifesto |
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