Non è un mondo per giornalisti
Reporters senza frontiere avverte: meno omicidi e più sequestri. In testa alla lista nera ci sono Pakistan, Iraq e Messico. Censura anche su Internet: a rischio ci sono anche le democrazie
Ultima speranza, la fuga. Di fronte alla violenza e alla repressione, tra regimi totalitari e scenari di guerra, i giornalisti sono sempre più spesso costretti ad abbandonare il loro paese per sfuggire al pericolo di essere uccisi, arrestati, aggrediti, minacciati, ma anche – è la vera emergenza esplosa nell’ultimo anno – sequestrati: sono 51 i reporter rapiti in tutto il mondo nel 2010, contro i 33 dei dodici mesi precedenti (con un incremento del 55 per cento), secondo la denuncia di Reporters sans Frontières. E anche se gli omicidi sono in calo del 25 per cento (57 contro i 76 del 2009), l’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa segnala che è sempre più difficile identificare gli assassini tra i gruppi mafiosi, armati, religiosi e le forze repressive degli stati dittatoriali. “I professionisti dei mezzi di comunicazione sono soprattutto vittime dei criminali e di trafficanti di ogni genere – ha dichiarato il segretario generale di Rsf, Jean François Julliard, presentando il rapporto annuale dell’ong con sede a Parigi – Le mafie e le milizie sono i principali assassini di giornalisti nel mondo. La sfida in futuro sarà quella di frenare questo fenomeno. Le autorità hanno una responsabilità diretta nella lotta contro l’impunità che circonda questi crimini. Se i governi non fanno tutto il possibile per castigare gli assassini, diventeranno loro complici”.
Ma Rsf sottolinea anche che il fenomeno più preoccupante dell’ultimo anno è proprio quello dei sequestri: i giornalisti che diventano moneta di scambio. La conseguenza, catastrofica dal punto di vista della libertà d’informazione, è che i reporter non si azzardino più ad avventurarsi in certe regioni, considerate ad alto rischio, abbandonando così le popolazioni locali al loro destino. Su un totale di 67 paesi nei quali si sono registrati, negli ultimi dieci anni, omicidi di giornalisti, ce ne sono almeno una decina nei quali la situazione non accenna a migliorare. In vetta alla lista nera: Pakistan, Iraq e Messico. Undici i morti nel 2010 in territorio pachistano, dove i reporter sono nel mirino di gruppi di estremisti islamici o vittime collaterali di attentati suicidi. In Iraq la violenza è ripresa in modo preoccupante dopo il ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto scorso: 7 morti, contro i 4 dell’anno precedente. Mentre in Messico, la vera emergenza continua a essere determinata dal potere delle bande di narcotrafficanti che tengono sotto scacco la popolazione.
Nell’ultimo anno si è confermato anche il numero preoccupante di arresti e aggressioni contro i cyber-dissidenti. La censura non è più un’esclusiva dei regimi totalitari, ricorda Rsf, se “le democrazie si impegnano ad approvare progetti di legge preoccupanti per quanto riguarda la libertà di espressione online”.
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Ultima speranza, la fuga. Di fronte alla violenza e alla repressione, tra regimi totalitari e scenari di guerra, i giornalisti sono sempre più spesso costretti ad abbandonare il loro paese per sfuggire al pericolo di essere uccisi, arrestati, aggrediti, minacciati, ma anche – è la vera emergenza esplosa nell’ultimo anno – sequestrati: sono 51 i reporter rapiti in tutto il mondo nel 2010, contro i 33 dei dodici mesi precedenti (con un incremento del 55 per cento), secondo la denuncia di Reporters sans Frontières. E anche se gli omicidi sono in calo del 25 per cento (57 contro i 76 del 2009), l’organizzazione internazionale per la difesa della libertà di stampa segnala che è sempre più difficile identificare gli assassini tra i gruppi mafiosi, armati, religiosi e le forze repressive degli stati dittatoriali. “I professionisti dei mezzi di comunicazione sono soprattutto vittime dei criminali e di trafficanti di ogni genere – ha dichiarato il segretario generale di Rsf, Jean François Julliard, presentando il rapporto annuale dell’ong con sede a Parigi – Le mafie e le milizie sono i principali assassini di giornalisti nel mondo. La sfida in futuro sarà quella di frenare questo fenomeno. Le autorità hanno una responsabilità diretta nella lotta contro l’impunità che circonda questi crimini. Se i governi non fanno tutto il possibile per castigare gli assassini, diventeranno loro complici”.
Ma Rsf sottolinea anche che il fenomeno più preoccupante dell’ultimo anno è proprio quello dei sequestri: i giornalisti che diventano moneta di scambio. La conseguenza, catastrofica dal punto di vista della libertà d’informazione, è che i reporter non si azzardino più ad avventurarsi in certe regioni, considerate ad alto rischio, abbandonando così le popolazioni locali al loro destino. Su un totale di 67 paesi nei quali si sono registrati, negli ultimi dieci anni, omicidi di giornalisti, ce ne sono almeno una decina nei quali la situazione non accenna a migliorare. In vetta alla lista nera: Pakistan, Iraq e Messico. Undici i morti nel 2010 in territorio pachistano, dove i reporter sono nel mirino di gruppi di estremisti islamici o vittime collaterali di attentati suicidi. In Iraq la violenza è ripresa in modo preoccupante dopo il ritiro delle truppe statunitensi nell’agosto scorso: 7 morti, contro i 4 dell’anno precedente. Mentre in Messico, la vera emergenza continua a essere determinata dal potere delle bande di narcotrafficanti che tengono sotto scacco la popolazione.
Nell’ultimo anno si è confermato anche il numero preoccupante di arresti e aggressioni contro i cyber-dissidenti. La censura non è più un’esclusiva dei regimi totalitari, ricorda Rsf, se “le democrazie si impegnano ad approvare progetti di legge preoccupanti per quanto riguarda la libertà di espressione online”.
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