Israele: chi finanzia l'occupazione?
Gerusalemme. La nuova ricerca di Whoprofit.org: il coinvolgimento diretto delle banche israeliane nelle attività di colonizzazione della Cisgiordania e del Golan. Sono le banche israeliane a fornire il supporto finanziario a tutte le attività che perpetuano l’occupazione illegale dei territori palestinesi e del Golan. Senza tale supporto, l’espansione delle colonie non sarebbe possibile. Se è vero infatti che la colonizzazione israeliana ha dietro di sé motivazioni di ordine politico ed ideologico, è anche vero che tale sistema comporta implicazioni economiche estremamente importanti, in base a cui le banche e gli istituti finanziari israeliani risultano essere i primi attori a trarne benefici economici.
Nelle 46 pagine del dettagliato rapporto presentato in questi giorni da Whoprofit.org, un progetto di ricerca della Coalition of Women for peace, un’organizzazione pacifista femminista israeliana, vengono analizzate le diverse forme di coinvolgimento delle banche israeliane nel sistema di occupazione, laddove tale coinvolgimento possa essere esplicitamente e chiaramente documentato. La ricerca si basa su documenti pubblici, alla portata di tutti, sia ufficiali che governativi, sia estratti dai report informativi che le stesse banche pubblicano annualmente. Prima della sua pubblicazione, i ricercatori di Whoprofit hanno fatto recapitare il documento a tutte le banche interessate e coinvolte: nessuna risposta ufficiale, tranne quella della Bank Discount.
Ma come avviene in concreto il supporto finanziario delle banche all’occupazione? In primo luogo, le banche forniscono due tipi di mutui agevolati: il primo riguarda i singoli individui, che desiderano acquistare unità abitative nelle colonie illegali della Cisgiordania. Il governo israeliano infatti prevede incentivi economici per quelle che vengono definite Aree Prioritarie e cioè le zone periferiche di Israele come il Golan e gli insediamenti sul territorio palestinese. Sei banche elargiscono mutui agevolati a futuri coloni: nel caso gli acquirenti non riescano a ripagare il mutuo, la banca diventa a tutti gli effetti proprietaria dell’immobile.
Lo stesso avviene per i mutui garantiti alle imprese di costruzione che operano nelle colonie. La maggior parte dei progetti edilizi in Cisgiordania non vedrebbe la fine senza il supporto finanziario delle banche: questo tipo di prestiti viene regolamentato secondo “accordi di accompagnamento” (Heskemay Livuy). Accordi che garantiscono cioè che la banca sia direttamente e interamente responsabile del progetto edilizio: la banca infatti è proprietaria del progetto e degli immobili, fino a quando tutte le unità abitative non vengano vendute. E’ la banca che fissa i prezzi degli appartamenti e detta legge sui tempi di costruzione; una vera e propria partnership tra la banca e l’impresa edile, in cui è la prima a trarne i maggiori benefici: anche in questo caso se l’impresa dichiara bancarotta, la banca diventa l’unica proprietaria di terreni e immobili.
Non è stato facile ottenere le informazioni relative a questo tipo di relazioni bancarie: quando Whoprofit, in base al Freedom Act, ha chiesto al Ministero delle Costruzioni, i nomi delle banche che forniscono tali programmi di “accompagnamento”, il Ministero ha risposto di non esserne al corrente. I ricercatori hanno dovuto pertanto ottenere le informazioni direttamente dalla industrie edili. Un esempio del coinvolgimento di tali banche risulta dal rapporto annuale del gruppo Hadar, il maggiore responsabile dei progetti residenziali all’interno di Ma’aleh Adumin. Tra i progetti più recenti c’è quello tra la B. Yair Building Corporation e la Bank Discount per la costruzione di 55 appartamenti a Har Homa (tra Gerusalemme e Bethlemme).
Quasi tutte le banche poi forniscono servizi finanziari alle autorità e ai municipi locali degli insediamenti illegali, sia nel Golan che in Cisgiordania, elargendo prestiti utilizzati per sviluppare nuove infrastrutture, costruire edifici pubblici come pure per la gestione della fornitura di servizi che il municipio mette a disposizione dei coloni. Per esempio la Banca Hapoalim ha fornito nel 2010 prestiti al consiglio municipale di Giv’at Ze’ev e a quello di Megilot nel 2009.
Vi sono inoltre 34 filiali operative nelle colonie illegali: la maggior parte delle banche israeliane ha aperto nel corso degli anni diverse filiali all’interno degli insediamenti israeliani, filiali che forniscono ogni tipo di servizio finanziario ai coloni e alle imprese commerciali che vi hanno sede. Come per esempio l’apertura di prestiti e conti bancari alle imprese che sono presenti nelle aree industriali, vedi l’area Barkan o la Top Greenhouses, una compagnia che produce serre, nella zona di Ariel, che ha ricevuto prestiti negli ultimi 10 anni dalle banche Discount, Leumi, Hapoalim e Mizrahi Tefahot. O il consorzio CityPass, quello che sta realizzando il contestato progetto della rete tranviaria a Gerusalemme, che riceve finanziamenti sia da Leumi che Hapoalim.
Due istituti finanziari beneficiano infine dell’accesso al mercato monetario palestinese; in seguito alle regolamentazioni previste dagli Accordi di Oslo, e sottoscritte sia da parte palestinese che israeliana, il mercato palestinese non utilizza una propria valuta. Ne deriva che le banche palestinesi sono dipendenti da altri istituti bancari per accedere ai mercati finanziari. Nonostante nei mercati palestinesi siano attualmente in uso 4 valute (oltre allo shekel israeliano, l’euro, il dollaro americano e il dinaro giordano), è in realtà lo shekel a dominare i mercati, dal momento che il sistema di occupazione ha creato una stretta dipendenza (sottomissione) finanziaria del mercato palestinese a quello israeliano.
Questa interdipendenza fa si che le politiche monetarie decise dalla Banca di Israele si applichino in modo assolutamente non democratico nella Palestina occupata, generando un sistema distorto. Qualche dato che dimostra il disequilibrio commerciale tra Israele e Palestina: su 20 miliardi di shekel di trasferimenti annuali, l’80% (16 miliardi) sono trasferiti da Israele al mercato palestinese e solo il 20% riguarda il contrario.
Anche nei rapporti con banche non-israeliane, le banche palestinesi devono appoggiarsi (dal momento che trattano lo shekel) agli istituti israeliani, che funzionano per il trasferimento fondi. In questo caso, secondo fonti palestinesi, le banche israeliane chiedono dei tassi di interesse altissimi e garanzie in cambio dei servizi offerti. Inoltre le commissioni applicate alla fornitura di tali servizi sarebbero enormi e imporrebbero limitazioni (in termini di quantità) sul trasferimento di denaro.
Le banche israeliane hanno inoltre rapporti commerciali solo con alcune banche palestinesi: negli accordi attuali ad esempio non sono incluse le banche costituitesi recentemente nei Territori, la cui operatività risulta ampiamente ridotta, dal momento che non possono trasferire denaro alle banche israeliane e devono appoggiarsi ad altri istituti palestinesi.
Il risultato è che il mercato monetario palestinese non potrà mai crescere e svilupparsi autonomamente. Senza considerare Gaza: alla fine del 2008, Israele ha interrotto qualsiasi relazione con le banche di Gaza, cessando la fornitura di tutti i servizi, causando il totale collasso del mercato finanziario della Striscia.
Le banche israeliane non solo forniscono il supporto finanziario alla costruzione delle colonie ma anche alla sostenibilità e al mantenimento dell’intero sistema che vi ruota attorno. Nessuna delle attività portata avanti da individui, organizzazioni, governo e compagnie commerciali in Israele, potrebbe andare avanti senza il supporto attivo delle banche, che sono pertanto gli attori principali del ritorno economico delle attività di colonizzazione della Cisgiordania e del Golan.
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