Come truffano sulle emissioni di gas serra
Una frode da 500 milioni di euro imbastito sui meccanismi del mercato delle emissioni di gas serra. La lotta ai cambiamenti climatici non è certo una priorità per le imprese italiane, ma le organizzazioni criminali hanno capito come “far fruttare” la propria partecipazione al mercato che dovrebbe servire a “mitigare” gli effetti dei cambiamenti climatici.
Secondo la Guardia di finanza, che il 17 dicembre ha reso pubblica l'inchiesta “Green fees”, coordinata con l'Europol, 21 soggetti sarebbero responsabili di una truffa ai danni dello Stato per 500 milioni di euro, costruita proprio a partire dallo scambio di “quote di emissione di CO2”. I reati contestati sono associazione per delinquere finalizzata alla truffa, emissioni di fatture false e riciclaggio.
Il colonnello delle Fiamme Gialle Vito Giordano ricostruisce la vicenda spiegando ad Ae come il mercato europeo delle emissioni si presti alla predisposizione di “truffe carosello”, in cui a rimetterci e lo Stato che non si vede riconosciuta l'Iva. “Il protocollo di Kyoto ha previsto livelli massimi di emissione per ciascun Paese membro -spiega Giordano-. I permessi di emissione vengono assegnati a vari enti che emettono CO2 nell'aria: quelle 'virtuose' cedono quote in eccesso; le aziende che devono procurarsi 'crediti', invece, ricorrono ad un mercato. Nel nostro Paese -continua- un'organizzazione criminale, sfruttando questa esigenza delle aziende, ha costituito una serie di società in vari Paesi europei, per acquistare 'crediti di emissione' in altri Paesi dell'Ue, in Francia ad esempio; questi 'crediti' vengono rivenduti a una società italiana della stessa organizzazione criminale ad aliquota Iva 0, perché le cessione intra-comunitarie sono esenti dall'Iva. La 'frode carosello' si completa vendendo alle società italiane, su un mercato telematico del Gestore dei mercati energetici, Gme, una piattaforma informatica, dove chi si iscrive può immettere ordini di acquisto e di vendita”.
Vendendo le quote, le società cadute nella rete della Guardia di finanza riscuotevano l'Iva -del 20 per cento-. A quel punto -va avanti Giordano- “avrebbero un debito Iva nei confronti dello Stato, che non viene pagata perché dopo un'operatività di 6-8 mesi le società spariscono”. Secondo il colonnello della Gdf, in forza a Milano, i reati configurano “una duplice particolarità: da un lato c'è l'oggetto della frode, i diritti di emissione di CO2; dall'altro, questi soggetti alterano il mercato, perché possono vendere le 'quote' a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, rispetto a quello dei soggetti che fanno trading di emissioni”.
La frode nei confronti dello Stato dovrebbe ammontare a 500 milioni di euro di frode. In Europa, lo stesso meccanismo avrebbe comportato uno “sconto” di 5 miliardi sull'Iva. Nella mattina del 17 dicembre i militari della Guardia di finanza hanno effettuato circa 150 perquisizioni nelle sede di società: “Alcune sono parti dell'organizzazione -spiega Giordano-, altre sono quelle che hanno acquistato le 'quote di emissione'”. I nomi sono ancora segreti, le indagini sono in corso. Indagini che spiegheranno, anche, se le aziende che operano -direttamente o attraverso trader- nell'ambito del mercato delle emissioni (cementieri, produttori di energia elettrica, cartiere, meccaniche, etc.) sono coinvolte o meno nel meccanismo della truffa.
Tutto ciò è stato possibile perché, come abbiamo scritto già due anni fa (vedi Ae 102), i crediti di emissioni “sono artifici finanziari molto simili a quelli creati negli ultimi trent’anni, come i derivati”. “Gli strumenti per combattere il riscaldamento globale si sono trasformati in pratiche speculative”. Nel febbraio del 2008 denunciavamo il rischio di “una nuova bolla speculativa, come quella legata al settore immobiliare o al petrolio” legate al meccanismo di scambio dei crediti di CO2. Ma certo non immaginavamo un reato fiscale.
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