Tutti gli affari sporchi di Cesa (UDC) Una truffa con i fondi della Ue
Requisiti i beni al segretario Udc. Dal Gip di Roma sequestro di un milione di euro. Il pm Toro lo aveva tenuto fermo un anno. Era l'inchiesta di De Magistris
L’inchiesta Poseidone
Il decreto del Gip di Roma conferma l’ipotesi accusatoria formulata da Luigi De Magistris nel lontano 2006, una bella soddisfazione per l’ex pm. La storia merita di essere raccontata dall’inizio, a partire dai suoi protagonisti. La società ‘incriminata’ è la Digitaleco Srl nata per fabbricare dvd in un capannone a Piano Lago in provincia di Cosenza. Gli azionisti, ora indagati, formano un piccolo parlamentino. Ci sono Lorenzo Cesa, segretario dell’Udc con il pallino degli affari e i suoi due amici Fabio Schettini e Giovanbattista Papello. La famiglia Cesa possiede società di eventi come la Global Media (che incassa milioni di euro anche grazie alle commesse dell’Udc e di società pubbliche) e ha una quota nella I Borghi Srl, che gestisce l’Auditorium di via della Conciliazione, del Vaticano. Giovambattista Papello è un pezzo grosso di An, già responsabile del Commissariato per l’emergenza ambientale in Calabria e consigliere dell’Anas in quota An, oggi tesoriere della Fondazione del ministro Pdl Altero Matteoli. Il terzo socio è Fabio Schettinidi Forza Italia, segretario dell’allora commissario all’Unione europea, Franco Frattini. I tre amici romani improvvisamente scelgono la Calabria per esercitare il loro bernoccolo imprenditoriale e ottengono un contributo di 1,5 milioni, incassato solo per 1 milione e 54 mila. Ottenuto il via libera al finanziamento, vendono tutto. Così, dopo un passaggio intermedio, la società finisce a un vero imprenditore del settore: Augusto Pelliccia. Il quale però compra a una condizione: l’arrivo dei fondi europei. Quando i Carabinieri lo vanno a sentire nel febbraio 2006, su delega di De Magistris, Pelliccia racconta: “Al momento di rilevare l’azienda rimasi notevolmente sorpreso nel constatare che la stessa aveva già superato il collaudo, in quanto si trovava ancora in fase di costruzione e completamento, tant’è vero, per esempio, era mancante del tetto e non aveva ancora l’allaccio alla rete fognaria.
Collaudi pilotati
Addirittura, amministrativamente, risultava aver superato il collaudo un macchinario utilizzato per il confezionamento dei compact-disc nelle bustine di plastica, nonostante lo stesso risultasse ancora completamente imballato”. Pellicia è spietato anche con Cesa, che resta suo socio con una piccola quota di Global Media: “ritengo che il solo fine per cui il Papello con il Cesa – che ne era il responsabile attraverso la Global-media s.r.l. cioè il responsabile dei servizi, del marketing e degli eventi legati alla promozione dell’attività – avessero deciso di creare tale società fosse quello di accedere alle già menzionate sovvenzioni europee … per poter raggiungere questo risultato, nel progetto presentato formalmente dal Papello e da Schettini, la nascente società s’impegnava a raggiungere entro il giugno 2004 un cospicuo livello occupazionale, non inferiore alle 40 unità lavorative”. Nell’avviso di chiusura delle indagine contro Papello, Cesa, Schettini e compagni si legge che i soci devono restituire i soldi erogati perché sono accusati di:
1) “avere acquistato macchinari obsoleti e non efficienti”;
2) “avere fittiziamente assunto le unità lavorative da destinare allo stabilimento nel numero previsto dalla normativa contrattuale, in realtà mai impiegato presso detto stabilimento se non in misura assolutamente deficitaria, con impiego di forza lavoro pari al 22,5 per cento rispetto alle previsioni”;
3) “non avere mai attivato la produzione di Dvd risultando, in tale periodo, l’assenza di commesse”;
4) “non avere conseguito la certificazione ISO 14001;
5) “non avere conseguito alcuno degli obiettivi prefissati, nonostante l’erogazione di tre delle quattro rate del finanziamento, all’anno di regime”.
La Procura di Roma così certifica la bontà di uno dei filoni dell’inchiesta Poseidone di De Magistris, bloccato prima dalla revoca del fascicolo da parte del capo della procura Mariano Lombardi (indagato anche per questo) poi dal trasferimento a Roma dell’indagine nel 2008 e poi ancora, da quello che risulta al Fatto Quotidiano dall’atteggiamento cauto del procuratore aggiunto Achille Toro. Una circostanza che, se confermata, sarebbe inquietante perché Toro, negli stessi giorni in cui (secondo le fonti del Fatto) fermava l’ex inchiesta di De Magistris su Cesa, dall’altro lato indagava sulle attività di De Magistris e del suo perito Genchi, ponendo le basi per la probabile richiesta di rinvio a giudizio contro l’ex pm e il suo collaboratore. Qualcosa non torna nei tempi di questa indagine: il fascicolo su Cesa arriva a Roma nel 2008 ma solo dopo l’addio di Toro, accusato di corruzione a Perugia per i suoi rapporti con la cricca dei Grandi eventi, riprende il volo. Il pm Maria Cristina Palaia, da quello che raccontano al Fatto Quotidiano alcuni investigatori, aveva preparato la richiesta di sequestro poco meno di un anno fa. La richiesta però rimase ferma perché il coordinatore del pool contro la pubblica amministrazione, Achille Toro, per mesi non ha concesso il suo visto. Toro a Il Fatto dice: “Non ricordo di avere mai visto questo fascicolo con indagato Lorenzo Cesa”. Resta inspiegabile il tempo impiegato dalla Procura di Roma per riformulare una richiesta di sequestro che era stata già formulata a Catanzaro. Un altro giallo che i pm di Perugia dovranno chiarire.
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