L'Italia che ama la camorra



Di Fabio Chiusi - Da un lato il Paese che legge e ascolta Saviano. Dall'altro lato, migliaia di persone che non si vergognano a fare il tifo per i clan. Siamo andati a vedere chi sono, nei loro gruppi in Internet, Scoprendo che non si tratta né di scherzi né di banali provocazioni


«Evviva il clan dei Casalesi», «Tutti contro quel bastardo di Saviano». Gli agenti della municipale? «Tutta gente di merda». Meglio la Camorra, che «non perdona». E «come è bello il kalashinokov, l'arma più amata dai killer». No, non è il solito gruppo di provocatori o buontemponi. Niente "troll", niente professionisti dell'assurdo. Sono frasi pensate e scritte, come atti di fede, su Facebook.

Parole a cui vengono associati un nome e un cognome, oltre alla propria faccia. Senza vergogna. Anzi, con onore. E non sono neanche i deliri di pochi, magari strumentalizzati o moltiplicati da chi, all'interno del mondo della comunicazione 2.0, è incapace di distinguere una sparata da una affermazione, una battuta di cattivo gusto da una reale adesione a un insieme di valori. Sono i riferimenti socio-culturali di diverse migliaia di persone. Che appongono il loro sigillo digitale, il loro "mi piace", su link che condividono pistole insanguinate sopra alla scritta «il tradimento non va mai perdonato» o «esecuzione eseguita». Lodano boss come Francesco Schiavone e Raffaele Cutolo. «L'unico e solo Don Rafè», che «il rispetto ha saputo guadagnarselo» e che «a differenza dello Stato ci ha aiutato a noi napoletani». E lamentano che «gli uomini d'onore sono pochi e stanno scomparendo».

Le pagine sono svariate, nascono e muoiono con una velocità tale che un elenco anche solo approssimativo è impossibile. Al momento "Malavita Napoletana" ha oltre 25 mila iscritti, "Link a Rivuot" 9000, "Ind'o Rion" più di 1500. Per non parlare dei tanti gruppi che celebrano gli "scissionisti", ovvero i seguaci del clan Amato-Pagano che hanno scatenato una guerra nel 2004-2005 per il dominio dello spaccio di droga a Secondigliano. Qualche mese fa avevano fatto notizia i 5000 raccolti da un dodicenne su "A' scission ro Rion" o "le Vele di Scampia", entrambi oscurati dalla polizia postale. Oggi, invece, sopravvivono "E wagliun ra scission", 388 iscritti, i 1130 di "ò PèRSòNàGG è A SCISSIòN", e diversi altri. Per non parlare di gruppi che associano il termine "camorra" alla parola "amore", che raccolgono in un solo gruppo ("Camorra and love") quasi 800 mila utenti. Una pagina dove simboli dell'adolescenza come Homer Simpson convivono col mito di Tony Montana, il protagonista del capolavoro di Brian De Palma, Scarface, e l'inno ai valori della criminalità.

Un binomio, quello tra la giovane età degli iscritti e l'esaltazione di una vita all'insegna della violenza, che fornisce forse la chiave interpretativa adatta per affrontare senza allarmismi, ma anche senza sorvolarlo, il fenomeno in questione. Perché chi anima queste pagine è sostanzialmente una parte della gioventù partenopea cresciuta a stretto contatto con la criminalità quotidiana dei quartieri più disagiati della periferia napoletana.

«Sono luoghi in cui la subcultura della delinquenza primeggia», spiega Domenica Foglia, dirigente della polizia postale della Campania, a L'espresso. Che esclude che tali gruppi siano utilizzati dalla camorra per scambiarsi informazioni rilevanti circa il traffico di stupefacenti. E tuttavia ammette che, tra i tanti ragazzini del tutto innocui, ci siano anche criminali con «qualche precedente o gradi di parentela» con personaggi a contatto con la malavita organizzata. E a chi aveva ipotizzato che l'oscuramento di quei gruppi fosse sbagliato, perché avrebbe potuto in qualche modo fornire una mappatura dei rapporti tra le cosche, risponde che «non c'è mai stata alcuna identificazione tramite Facebook che abbia portato a organizzazioni criminali. Tuttavia», prosegue Foglia, «questi gruppi aiutano a capirne il modo di pensare, le logiche, il linguaggio». Elementi, dunque, che possono aiutare chi procede a indagini. «Anche se per le comunicazioni telematiche la camorra si serve di sistemi a scatole cinesi gestiti da veri e propri consulenti informatici che operano per evitarne l'intercettazione».

E un contatto diretto con alcuni degli iscritti sembra confermare le parole di Foglia. Errico, ad esempio, sostiene di frequentare quelle pagine perché «ho vissuto certe cose da ragazzo, anche la strada», e dunque quei gruppi sono «importanti perché mi ricordano i vecchi tempi». Altri, come Alberto, affermano con decisione di non avere intenzione «a priori di rispondere a certe domande». E Giuseppe mostra di sapere il fatto suo nonostante non sia nemmeno prossimo alla maggiore età: «io non so cos'è la malavita e anche se lo sapessi non parlassi». Con molti altri, dai profili completamente privati, impossibile interagire. Restano le facce serie, i torsi nudi, le foto davanti a un coltellaccio, per ostentare una minaccia non si sa quanto reale.
«È roba da ragazzetti esaltati», commenta Francesco Piccinini, direttore di Agoravox Italia e co-autore di Strozzateci Tutti, Ventitré scrittori contro le mafie per combattere silenzi e omertà, «e penso che tutto si riassuma nel commento "e bell o kalasc.. ma e un pò troppo rumoroso io credo ke un killer profestionist usa la carabina fucile di precisione....xche sot e sot tutt sapim acirr? e da lontano ke e difficile"». Che tradotto, significa: tutti sappiamo uccidere, ma solo la maestria di un colpo da cecchino è davvero degna di onore. Un mito delle armi, della coca, di quello che Piccinini chiama un «consumismo-tronismo» che è parte certo di una «mitologia del Sistema», dove la camorra si sostituisce allo Stato e rappresenta «forza e soldi».

Ma è anche retaggio di valori trasmessi dal culto del reality e del presenzialismo televisivo, che sembra giocare un ruolo ben più importante dei possibili abusi del social network così spesso demonizzati dai media italiani. E poi, conclude Piccinini, che a Secondigliano è cresciuto, «nonostante agli occhi della "borghesia" del quartiere fossimo tutti destinati a essere "ragazzi di Sistema", solo tre su 40 hanno legami». Capire come ridurre a zero quel numero è molto più utile che scandalizzarsi, e mobilitarsi per chiudere queste pagine su Facebook.



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