La stupidità della sinistra
Silvio Berlusconi sarebbe da lungo tempo soltanto storia se i suoi avversari non avessero fatto tanti devastanti errori.
di Paolo Flores d’Arcais, Die Zeit, 21 novembre 2010
Le spiegazioni semplici sono spesso le meno affascinanti. Per questo non fanno audience, e dunque non sono gradite. Ecco perché, quando si parla del successo di Berlusconi, della sua ascesa irresistibile, del suo potere ancora straripante malgrado un rosario di scandali che avrebbe distrutto dieci presidenti americani, tutti si interrogano sul suo carisma mediatico, sulla sua sintonia con l’animo anarchico-conservatore dell’Italia profonda, sugli interessi “strutturali” e il blocco sociale che rappresenta. Nessuno che prenda in considerazione la spiegazione più semplice, malgrado sia anche empiricamente verificabile: la forza di Berlusconi, TUTTA la sua forza, consiste solo nella debolezza della sinistra e negli errori dei suoi dirigenti. Troppo banale? Valga il vero.
Berlusconi ha vinto tre volte, ma è stato sconfitto due volte, e avrebbe potuto esserlo anche la prima. Siamo nel 1994, da due anni è esplosa l’inchiesta “mani pulite”, che ha coinvolto l’intera classe dirigente di governo (Dc e Psi, che con Craxi si stava trasformando in un partito di destra populista). Anche l’ex-Pci è toccato dalle indagini, ma perifericamente, non nel suo gruppo dirigente nazionale. Dunque, è l’unico partito sopravvissuto all’inchiesta giudiziaria. Berlusconi ha fondato “Forza Italia” proprio per raccogliere gli elettori orfani di Dc e Psi, e dialoga apertamente con gli ex-fascisti di “Alleanza nazionale” (non si dimentichi che solo due anni prima Gianfranco Fini aveva organizzato grandi celebrazioni per il 70° della “marcia su Roma” di Mussolini).
La sinistra ha tutti i pronostici favorevoli. Basta che scelga un candidato premier che venga dalla società civile, anziché dal mondo dei partiti (la cui popolarità, dopo “mani pulite”, è ai minimi storici). Ma il segretario del Pds, Achille Occhetto, in uno slancio di narcisismo (e di stupidità) pretende di essere il candidato, e parla del suo partito come di una “gioiosa macchina da guerra”. A gioire sarà invece Berlusconi. Occhetto è stato pur sempre l’ultimo segretario del Partito comunista, e una campagna elettorale tutta giocata sull’anticomunismo, ancora tradizionalmente maggioritario nel paese, e sul candidato “imprenditore” contro i politici di mestiere incorona Berlusconi.
Otto mesi dopo il suo governo è già in crisi, per il conflitto con la Lega di Bossi (che comincia a chiamare Berlusconi “Berluskaz”, con un’assonanza di pesantissima volgarità, e ad accusarlo di frequentazioni mafiose). Dopo la parentesi di un “governo tecnico”, nel 1996 si torna alle urne. Questa volta alla sinistra basta candidare un professore, un economista cattolico “progressista”, Romano Prodi, per vincere con facilità. Si ha la conferma empirica di quanto ogni analista lucido poteva prevedere: l’ “anti-politica” sarà ancora a lungo, per un’intera fase storica, il luogo strategico per ogni vittoria elettorale. In realtà non si tratta di anti-politica nel senso tradizionale di “qualunquismo” (poujadismo, ecc.). Al contrario, si tratta di ostilità sempre più radicale (e più che giustificata) alla degenerazione partitocratica della democrazia, ad apparati burocrati divenuti autoreferenziali e corrotti. Qualche anno dopo, per indicarli, un libro di successo straordinario farà entrare nell’uso comune la parola “Casta”. Chi riesce a presentarsi estraneo alla Casta vince.
Dopo la vittoria di Prodi tutti i giornali dell’epoca danno Berlusconi come finito. Sul piano politico, tanto che si fanno i nomi di chi lo sostituirà come leader del centro-destra. Sul piano imprenditoriale, poiché ci si domanda quando andrà in fallimento la sua impresa multimediale schiacciata dai debiti (“quando”, non “se”: e si ritiene il momento vicinissimo). Sul piano personale, poiché è convinzione generalizzata che data la mole (e la serietà) delle inchieste penali che lo riguardano presto arriverà un mandato di cattura.
In questa situazione, per chiudere definitivamente con Berlusconi, basterebbe che il centro-sinistra non facesse nulla. E invece fa. Non quello che ha promesso agli elettori (proseguire con mezzi politici l’opera anticorruzione avviata da “mani pulite”, stabilire una legge sul “conflitto d’interessi”, combattere il monopolio televisivo) ma esattamente l’opposto. A un Berlusconi finito, il nuovo segretario dell’ex-Pci, Massimo D’Alema, propone la partnership di “rifondatori” della Costituzione. Riscrivere insieme la Carta fondamentale, benché sia una delle migliori del mondo.
Berlusconi, da politico e imprenditore e cittadino finito, diventa “Padre della patria” per investitura del maggior partito della maggioranza, l’ex-Pci. Ovvie le conseguenze: la sua leadership sul centro-destra torna incontrastata, le banche aprono il rubinetto del credito, una politica bipartisan contro l’autonomia dei magistrati salva Berlusconi dalla galera.
Risultato prevedibilissimo: nel 2001 Berlusconi, risorto grazie a D’Alema, vince le elezioni. A Prodi viene dato il contentino della Commissione europea. D’Alema era convinto che Berlusconi fosse il migliore leader della destra dal punto di vista della sinistra, perché “il più debole”. Per ragioni misteriose i commentatori (anche stranieri) continuano a descrivere D’Alema come “molto intelligente”. Infatti, all’opposizione, non fa praticamente nulla. Al punto che nel 2002 nasce spontanea una opposizione nella società civile (la stagione dei cosiddetti “girotondi”, animata da Nanni Moretti, Pancho Pardi e da chi scrive, che culmina in una manifestazione completamente “autogestita” con oltre un milione di partecipanti): contro Berlusconi ma anche contro una “opposizione che non c’è”.
Tuttavia le doti governative di Berlusconi sono talmente deludenti che a due mesi dalla scadenza elettorale del 2006 i sondaggi danno Prodi (è di nuovo lui il candidato del centro-sinistra) in vantaggio di venti punti. Incolmabile, si direbbe. Di nuovo, basterebbe non fare nulla. I dirigenti del centro-sinistra invece fanno tutti gli errori possibili, moltiplicano le offerte di dialogo con Berlusconi, attaccano i movimenti della società civile come “giustizialisti”. Il risultato che esce dalla urne sarà così di sostanziale parità. Ma dato il sistema elettorale (voluto da Berlusconi!) il centro-sinistra ha alla Camera un vantaggio netto di una cinquantina di seggi. Lo avrebbe anche al Senato, se avesse accettato l’appoggio delle “Liste civiche regionali”, ma lo ha rifiutato: vincere con il sostegno di qualche “indipendente” è considerata una minaccia per il proprio “monopolio” partitocratico dai D’Alema e dai Veltroni. Che invece sollecitano l’alleanza di ex-alleati di Berlusconi, e a uno di loro (Clemente Mastella, ex boss democristiano della Campania) affidano addirittura il ministero della giustizia! Sarà proprio Mastella, inquisito per gravi episodi di malcostume, a far cadere il governo Prodi. Si torna alle urne. E torna Berlusconi.
Oggi siamo allo stesso punto: l’esplodere di mille scandali fa precipitare il governo Berlusconi nei sondaggi, ma il Partito democratico non guadagna nulla, anzi. Facesse un’opposizione vera, senza sconti, assumesse la “questione morale” come propria bandiera e la “Casta” come proprio nemico, stravincerebbe. La stupidità dei suoi dirigenti lo impedisce. O forse, sono ormai parte della “Casta” anche loro.
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