Tragedie, mass media e business...
Le tende dei mass media sono ben piantate ad Avetrana: il circo mediatico è subito entrato in funzione a pieno regime, per i mass media è un banchetto da consumare golosamente; si inizia con la programmazione mattutina, si prosegue il pomeriggio, e si sbarca in prima e seconda serata, passando per il casello dei telegiornali. Interviste al vicino, al vicino del vicino, agli amici degli amici, e la classica nonnina pettegola della piazza del paese, si gode i suoi cinque minuti di celebrità. Si cerca di scavare, di arrivare all'osso, si pianifica nei minimi dettagli aspettando l'atteso retroscena, si cerca l'esclusiva, anche un piccolo dettaglio vale accattivanti titoloni: il popolo ha fame di sapere, e più si riesce a scendere nei particolari e addentrarsi nei meandri solitamente protetti dal privacy, più aumenta l'indice auditel. La tragedia viene valutata in termini di share, il dolore dei familiari convertito in introiti pubblicitari, e la macchina giudiziaria si presta alla cabina di regia, stillando le notizie "goccia a goccia". A casa molte mamme d'Italia piangono sul divano, e in questo turbinio emotivo, qualcuno invoca la pena capitale: chissà che un giorno non si arrivi alla fusione tra precesso, condanna e TV, come nel film "l'Implacabile" di Schwarzenegger, dove il condannato finiva nell'arena.
Va bene il diritto di cronaca, è pur vero che vicende come questa attirano l'interesse della gente, fanno stringere il cuore, ma dovrebbe esserci un limite, un briciolo di sobrietà, e soprattutto un po' di rispetto.
Merita una riflessione, inoltre un'altro aspetto: questi teatrini mediatici vengono predisposti solo e soltanto quando coinvolgono "comuni cittadini": Erika e Omar, Franzoni, i tre di Perugia, Olindo e Rosa, Alberto Stasi... come si argomentava qualche settimana fa, altri casi finiscono nel vuoto. Paragoniamo questo caso con quello della "clinica degli orrori" Santa Rita di Milano: dopo il fuoco di paglia dei primi giorni, tutto tace da anni, e nel silenzio generale il primario di chirurgia toracica Pier Paolo Brega Massone, quello che asportava parti di polmoni e seni in pazienti sani, indagato in relazione a numerosi decessi avvenuti sotto i ferri, è persino uscito di prigione, in attesa di giudizio, mentre il proprietario della clinica, il notaio Pierpaolo Pipitone, è stato condannato a 4 anni e 4 mesi... che appaiono decisamente pochi, per un signore che reclutava medici definiti "macchine da guerra" delle operazioni...
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