Omicidi di stato: Riccardo Rasman
Il seguente è il testo di una interrogazione parlamentare presentata in Senato il 27/02/2008.
Riccardo Rasman era un giovane nato a Trieste il 5 agosto 1972;
nel 1992 il Rasman, nel corso dell’espletamento del servizio di leva durante, riferì di aver subito atti di “nonnismo” in seguito ai quali iniziò a manifestare una sindrome schizofrenica paranoide;
a seguito di un ricorso promosso contro il Ministero della Difesa, la Corte dei Conti per il Friuli Venezia Giulia con sentenza del 26 settembre 2003 riconobbe il giovane, in relazione alla sindrome maturata, l’infermità dipendente da cause di servizio;
il 27 ottobre 2005, poco dopo le 20, Rasman era da solo nel suo appartamento assegnatogli dall’istituto case popolari a Trieste, presso il quale si recava saltuariamente;
Rasman si trovava probabilmente in uno stato di agitazione psico-fisica dovuto alla sua malattia e, tenendo la musica della radiolina alta si mostrò nudo sul balcone da dove lanciò due patardi sulla strada, uno dei quali cadde vicino alla figlia del portiere dello stabile;
questo episodio, pur non provocando lesioni alla ragazza, spinse a chiedere l’intervento del 113;
quando le forze dell’ordine giunsero sul posto con due volanti il Rasman si era ormai rivestito e steso a letto spaventato, rifiutandosi di aprire la porta di casa;
nonostante il Rasman, secondo le testimonianze dei vicini, si fosse completamente calmato e seduto sul letto, gli agenti chiesero l’ausilio dei Vigili del fuoco per forzare la porta
una volta sfondata la porta di casa vi fu una violenta colluttazione fra il Rasman, di corporatura molto robusta, e i quattro agenti che lo immobilizzarono;
dopo la colluttazione Rasman riportava ferite sanguinanti al volto e alla testa; fu ammanettato con le mani dietro la schiena e gli furono legate le caviglie con un filo di ferro.
Gli agenti effettuarono su Rasman una prolungata pressione sul dorso al fine di renderlo inerme, e lo lasciarono nella predetta posizione prona per diversi minuti nel corso dei quali il Rasman iniziò a respirare affannosamente e ad emettere rumorosi rantoli, percepiti anche dai vicini di casa;
Riccardo Rasman cessò di rantolare e divenne cianotico, ma solo tardivamente gli agenti chiesero l’intervento del 118, senza ancora - nel frattempo - provvedere a voltare l’uomo in posizione supina;
giunto sul posto il 118, viene constatato il decesso di Rasman.
Considerato che: le indagini vennero effettuate su delega del PM dagli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione; (MA VI RENDETE CONTO????? ROBA DA PAZZI n.d.r)
dopo due anni di indagine, nell’ottobre 2007, il Pubblico Ministero dott. Mortone, ha richiesto l’archiviazione del caso ritenendo che i quattro agenti intervenuti, indagati per omicidio colposo, abbiano agito nell’adempimento di un dovere e quindi con pieno diritto, pur essendo stato accertato dalla perizia medico legale disposta dallo stesso PM che il decesso è avvenuto per “asfissia posturale” del Rasman causata dall’azione dei quattro agenti;
effettuata opposizione all’archiviazione da parte dei legali della famiglia Rasman, il prossimo 28 febbraio si celebrerà davanti al GIP l’udienza che dovrà decidere sulla richiesta di archiviazione;
questo episodio presenta delle inquietanti similitudini con quanto pare sia accaduto al giovane Federico Aldrovandi, il giovane di 18 anni morto a Ferrara pochi minuti dopo essere stato fermato e malmenato dalla polizia.Per sapere: se il ministro intenda chiarire quali siano i motivi per i quali siano stati utilizzati metodi tanto brutali con un invalido psichico;
se il ministro intenda verificare se la scelta di assegnare l’indagine agli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione e quindi nella morte di Rasman;
come il ministro intenda intervenire per far chiarezza su questi episodi di fermi di polizia che troppo spesso si tramutano in colluttazioni ed a volte, come nel caso di Rasman e del giovane Aldrovandi, sfociano in tragedia.
Un articolo di giornale che parla del caso:
Una mossa che raramente capita di vedere in un'aula giudiziaria: un pm che revoca di fatto la richiesta di archiviazione presentata da lui stesso. E' successo ieri mattina nell'aula del tribunale di Trieste. Si riapre così il caso sulla morte di Riccardo Rasman: il gip Paolo Vascotto si è preso cinque giorni per decidere sulla richiesta di un supplemento di indagini del pubblico ministero Pietro Montrone.
Riccardo aveva 34 anni, da tempo soffriva di una sindrome schizofrenica paranoide, era seguito dai servizi sociali. La sera del 27 ottobre 2006 si trovava da solo nel suo monolocale in via Greco 38. Forse era un po' su di giri, il giorno dopo lo attendeva un nuovo lavoro. O chissà cosa gli era accaduto. Ma fatto sta che quella sera Riccardo non fa nulla di socialmente pericoloso, se non buttare un paio di petardi in strada, ascoltare musica ad alto volume e girare nudo per casa. Petardi «forti come bombe», però, per una vicina che chiama la polizia. Intervengono almeno due volanti (il difensore di parte civile sospetta che ad un certo punto diventino quattro). Ma la porta è chiusa, quel ragazzone alto 1,85 per 120 chili si è ormai calmato, è steso sul letto, vestito e probabilmente impaurito. Sua sorella Giuliana, che da due anni insieme al padre Duilio e alla madre Maria Albina lotta per sapere la verità, in una video-inchiesta realizzata da Paolo Bertazza ricorda: «Viveva nella paura, e io che gli dicevo: Ricky non puoi vivere così. Pensa sempre che se qualcuno ti vuole fare male ci sarò io davanti a te». Ma quella sera al quarto piano di via Greco Giuliana non c'è e non può esserci. E lui è spaventato soprattutto dalle divise - anche se questo la polizia proprio non lo può sapere - perché la sua depressione inizia durante la leva militare, quando subisce violenti atti di «nonnismo», tanto da essere congedato e vedersi riconosciuta dalla Corte dei Conti l'infermità dipendente da causa di servizio. Ma sono proprio uomini in divisa quelli che intimano di aprire la porta. Riccardo urla che no, che se non se ne vanno li ammazza. E la polizia che, invece di chiamare i servizi sociali - nonostante sospetti di essere di fronte a una persona psichicamente debole, tanto da chiedere una verifica in centrale, che però non arriva in tempo - avverte i vigili del fuoco per sfondare la porta. Ne segue una colluttazione molto pesante, dicono le relazioni di servizio dei quattro agenti che ora sono indagati per omicidio preterintenzionale in concorso tra loro. Per bloccare Riccardo - che si agita e che accoglie i poliziotti brandendo un bastone - danno manforte anche i vigili del fuoco. Si tratta di almeno sei persone contro uno. La stanza è in penombra, nessuno accende la luce, si vede poco. Riescono ad ammanettarlo con le mani dietro la schiena, ma lui si agita ancora. Allora gli salgono sul dorso in due. Gli legano i piedi con un filo di ferro. Quando infine accendono la luce, si rendono conto che è cianotico, e che ha perso i sensi. Chiamano il 118, ma Riccardo è morto.
Per il medico legale incaricato della perizia dal pm ad averlo ucciso non sono le botte, nonostante nella stanza ci sia molto sangue, ma un' «asfissia posturale», causata dalla pressione sulla schiena di una persona in carenza di ossigeno. E' la stessa causa di morte sospettata dai legali di parte civile per un altro caso di decesso durante un controllo di polizia: quello del diciottenne Federico Aldrovandi a Ferrara nel settembre 2005. Sul caso Aldrovandi è in corso un processo per omicidio colposo, proprio oggi un'udienza in cui si attendono importanti smentite sulle ultime dichiarazioni dei dirigenti della questura ferrarese.
E ora uno spiraglio di luce anche per Rasman. Il pm ha fatto dietrofront, dopo aver sostenuto che l'intervento dei poliziotti era legittimo, e l'azione svolta in legittima difesa. «Va riconosciuto l'atteggiamento onesto», commenta uno dei legali, Giovanni Di Lullo, da pochi giorni affiancato da uno dei legali della famiglia Aldrovandi, Fabio Anselmo, che dice: «Ora attendiamo giustizia per una morte tanto sconcertante quanto choccante».
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